giovedì 24 dicembre 2020

METAFISICA E ANTISEMITISMO I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica



"Il rapporto tra filosofia e politica in Heidegger è sempre stato controverso. Com’è stato possibile che uno dei maggiori filosofi del Novecento abbia aderito al nazionalsocialismo e, soprattutto, non abbia mai riconsiderato la sua posizione anche dopo la Shoah? Con la pubblicazione poi di una parte dei Quaderni neri – il diario intellettuale nel quale Heidegger esprime alcuni giudizi antisemiti – la questione è divenuta ancora più scottante. Qual è il rapporto tra filosofia e politica, in questo pensatore e, più in generale, nei grandi filosofi? Se lo sono chiesto, partendo da Heidegger, alcuni dei principali studiosi del vecchio e nuovo continente.


PETER TRAWNY è direttore del Martin-Heidegger-Institut alla Bergische Universität di Wuppertal; JESÚS ADRIÁN ESCUDERO è professore alla Universidad Autónoma di Barcellona; DEAN KOMEL è professore all’Università di Lubiana; ALFREDO ROCHA DE LA TORRE è professore alla Universidad San Buenaventura di Bogotá; ADRIANO FABRIS è professore all’Università di Pisa."



L’antisemitismo “metafisico” di Martin Heidegger

sta in



cito "Ha notato giustamente Guido Ceronetti in un articolo sul Corriere della Sera che “se mai ci fu e ci sarà ‘un popolo dell’Essere’ quello è l’ebraico, che ha l’Essere e l’assolutezza dell’essere iscritti in quattro lettere che si ha paura di pronunciare. Negare all’ebreo di essere proprietà dell’essere e depositario del Nome che lo nomina, è negargli, in lingua heideggeriana, l’esserci, il dasein, dunque equivale a escluderlo, a sterminarlo. E’ la mano genocida in guanti di gomma. Per questo si può parlare di un antisemitismo tragico”.
Sarà pure tragico, vien fatto di rispondere, ma Heidegger lo prendeva molto sul serio. Un antisemitismo che non ha connotati razziali, bensì ontologici, e che considera l’ebreo come qualcosa di estraneo all’Occidente e alla sua storia "



giovedì 10 dicembre 2020

Intervista a rav Meni Steinsaltz: figlio di Rav Adin Even-Israel Steinsaltz, da pochi mesi scomparso



 Il  testo  completo dell'intervista sta in

https://www.kolot.it/2020/12/09/intervista-a-rav-meni-steinsaltz-chiamatemi-solo-meni/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=kolot-intervista-a-rav-meni-steinsaltz-chiamatemi-solo-meni_253


Tra i tanti insegnamenti di vita da lui trasmessi, quale ti porti sempre appresso?


   
Che esiste l’infinito. Che si può sempre aggiungere ancora
  
un po’ di contenuto al recipiente. 






Cos'altro non sappiamo di lui ?


Che diceva sempre che non bisogna essere persone troppo

pie.Diceva che quando uno è troppo pio,

nasconde sicuramente qualcosa. Perde quasi di autenticità.

La fede è una cosa semplice, non bisogna complicare troppo 

le cose. A volte si arrabbiava e diceva: “Ma chi sei tu? Chi ti ha

dato l’autorizzazione di essere così pio?”.





martedì 1 dicembre 2020

Fede e vita nel giudaismo




"Il saggio del Fohrer introduce con fine sensibilità alla vita religiosa del giudaismo odierno, risalendone le ricche radici. A una breve esposizione del monoteismo ebraico e del significato che in esso trova la torà, fa seguito una minuta esposizione della vita religiosa di tutti i giorni, delle preghiere e dei riti liturgici, del sabato così come delle feste e dei giorni festivi più solenni, con attenzione particolare per le dottrine etiche e di fede che in quei riti si riflettono. Nelle pagine del Fohrer trova cosl espressione non soltanto il giudaismo veterotestamentario e rabbinico-talmudico, bensì anche quello che ha portato alla costituzione dei libri di preghiere attualmente in uso e che di essi si nutre."

domenica 29 novembre 2020

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma intervistato dal quotidiano Libero. La Buona Speranza Seconda Parte


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https://www.kolot.it/2020/11/11/riccardo-di-segni-rabbino-capo-a-libero-come-laldila-per-noi-ebrei/#more-10786

Come ha reagito la sua comunità alla pandemia? E al lockdown?

«Come tutti: vivendo preoccupazioni, angosce, nevrosi indotte. E le difficoltà economiche che in alcuni casi sono state disastri micidiali. Per l’organizzazione comunitaria abbiamo dovuto fare sacrifici molto grandi».


Quali? 

«La vita religiosa in sinagoga e in grandi riunioni familiari è entrata in crisi, come il sistema di insegnamento. Però il mondo digitale ci ha spalancato platee di persone interessate che nemmeno pensavamo esistessero».


Avete perso molti membri della comunità?

«Sì, d’altro canto il virus del Covid non è razzista».


Qualcuno tra voi ha pensato che il Covid fosse una punizione divina? 

«Quando si parla in termini biblici di epidemie, esiste anche il tema della punizione. Ma oggi, nel nostro modo di concepire le cose, questo non è accettato. Piuttosto è il tema della responsabilità, che non può essere eluso».


Responsabilità da parte di chi?

«Se le cose vanno male esiste sempre una parte di responsabilità umana».


Prima ha evocato altre pandemie della storia. A quali si riferisce?

«La pestilenza del 1656 arrivò a Roma da Napoli. Ho tradotto le pagine del diario di un rabbino, Zahalon, che era anche un medico, che fu incaricato di gestire l’emergenza della comunità in quel momento. Le autorità pontificie sbarrarono i cancelli del ghetto e nella piazza antistante eressero una forca per dissuadere dalla disobbedienza. All’interno costruirono un lazzaretto. Era un regime terroristico. E ci furono tantissimi morti».


La prova terribile della Shoah non ha indotto il popolo ebraico a dubitare dell’esistenza di Dio? 

«La Shoah è stata attraversata da non credenti che sono rimasti tali, da persone che prima credevano e poi non hanno più creduto, e da tanti altri uomini e donne che invece si sono rafforzati nella fede. Il popolo ebraico ha un rapporto dinamico con il suo Creatore. Sa bene che la sua è una storia difficile, fatta di conflitti. Malgrado questo in molti di noi c’è una fede incrollabile».


La strage accanto alla Sinagoga di Vienna è l’ennesimo ritorno dell’antisemitismo?

«Ancora non è ben chiaro cosa sia successo. Abbiamo di fronte un avversario per il quale l’odio antiebraico è solo un condimento di una pietanza più complessa, in cui ci sono l’Occidente, il cristianesimo, l’ebraismo».


Esiste un antisemitismo di sinistra?

«Come no, è quello che gioca sull’equivoco dei poveri contro i ricchi, identificando erroneamente gli ebrei come detentori dei poteri economici. Un vizietto che già compare nel giovane Marx, per quanto fosse il nipote di un rabbino».


Chi è Gesù per gli ebrei?

«Prima di tutto un figlio del nostro popolo. Neghiamo che sia Dio e che sia il Messia, o un profeta. Ma comunque lo riconosciamo come parte della nostra storia».


Quando venne papa Francesco in sinagoga le disse che voleva discutere di teologia…

«E io risposi di no, perché ognuno ha la sua. Avere un dialogo non significa necessariamente andare d’accordo».


Cosa è la speranza per un ebreo?

«Intanto diciamo che c’è speranza. Poi ci possono essere speranze individuali e collettive. Ma soprattutto non basta dire speranza, deve essere buona speranza».


Perché buona?

«È un termine antico che compare nelle nostre preghiere, c’è speranza e speranza. E non è un caso che quando nel 1487 Diaz raggiunse un punto molto a Sud dell’Africa e gli diede il nome di capo delle Tempeste, alla corte portoghese qualcuno suggerì di non chiamarlo con un termine così negativo, ma con un nome beneaugurale. E dalla memoria inconfessabile di qualcuno che aveva imparato le preghiere ebraiche uscì, appunto, Buona Speranza».

martedì 24 novembre 2020

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma intervistato dal quotidiano Libero.  Prima Parte

 



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Per capire come gli ebrei pensano la morte e l’Aldilà bisogna andare nel ghetto di Roma. Uno dei posti dove è passata la Storia. Il cuore della più antica comunità ebraica del mondo fuori dalla Terra Promessa, violato il 16 ottobre 1943 dai rastrellamenti dei nazisti, è custodito da quasi vent’ anni dal rabbino capoRiccardo Di Segni. Gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori, come diceva Giovanni Paolo II, e per sapere come immaginano l’oltretomba e la vita eterna ho parlato con lui.

Rabbino Di Segni, com’è l’Aldilà per gli ebrei? 
«Al riguardo abbiamo molte idee, e anche principi di fede; ma non è un tema definito con estrema precisione dottrinale. Si parla in particolare di un principio: la resurrezione dei morti».

C’è una vita oltre la morte?
«In un momento della storia o dopo la storia, tutti coloro che hanno vissuto in questo mondo torneranno a vivere. Questo è un principio che noi ripetiamo tre volte al giorno nelle preghiere, benedicendo il Signore che resuscita i morti. Quando questo accada, però, non lo sappiamo. C’è un’idea fondamentale: l’Olam Abbà, cioè il mondo a venire, la dimensione dove entrano tutte le persone che sono state su questa terra e che ora non ci sono più».

Ci spiega meglio, rabbino, l’Olam Abbà?
«Cosa sia esattamente è un po’ azzardato definirlo. È il luogo in cui i giusti saranno premiati, mentre chi non si è comportato giustamente dovrà scontare delle punizioni. Ma nella religione ebraica l’attenzione e la concentrazione sono sulla vita in questo mondo, su quello che dobbiamo fare qui. È molto raro che un maestro dica: “Fate così, perché così andrete nel (cosiddetto) Paradiso”».

Ma allora anche per gli ebrei esistono il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno?
«La parola Paradiso, che a quanto pare è di origine persiana, in ebraico rabbinico è il Pardes, che indica un frutteto. Usiamo piuttosto il termine “giardino dell’Eden”, dal quale l’uomo è stato cacciato e che può essere il luogo in cui le anime tornano. Alcuni autori hanno parlato di qualcosa che assomiglia ai gironi infernali danteschi, su cui si dilunga lo Zohar (il libro dello Splendore, nda), mentre altri hanno omesso queste rappresentazioni».

E lei, come se lo immagina l’Aldilà?
«Non ci sono mai stato, per cui… (il rabbino sorride). Non è al centro delle mie attenzioni. Mi preoccupano di più le difficoltà terrene».

È vero che la resurrezione della carne deriva dall’Antico Testamento e dalla visione di Ezechiele? 
«Il profeta Ezechiele (37, 1-14) la rappresenta in una profezia molto suggestiva: immagina una valle piena di scheletri e il Signore, parlando loro, li fa tornare piano piano in vita, infondendoli di spirito e ricoprendoli “di muscoli, tendini, carne e pelle”».

Chi spera di riabbracciare per primo nell’Aldilà?
«Bisognerà vedere se ci sarà un abbraccio, una contemplazione o un incontro. Non sappiamo quello che accadrà. Come principio di fede affermiamo che i morti torneranno a vivere. Come, dove, quando, in quali condizioni resta un grande punto interrogativo. L’idea essenziale è che con il passaggio della morte non finisce tutto perché è una transizione da uno stato all’altro».

Cosa intende per stato? 
«Una situazione. Qualcuno per raccontarlo ha proposto un esempio molto suggestivo: la vita fetale, dove c’è una creatura che vive. Poi a un certo punto con il parto si esce in un mondo differente, si entra in un’altra dimensione».

E la morte? Come sono i funerali nell’ebraismo?
«Una persona che sta per lasciarci viene accompagnata negli ultimi momenti dai suoi cari o da un maestro che gli fa recitare alcuni dei nostri testi fondamentali. E lo invita a una confessione generica, senza entrare nei dettagli: “Abbiamo fatto… abbiamo peccato”. Ognuno, nel suo rapporto con il Creatore, ci mette quello che vuole. Senza raccontarlo agli altri».

E poi cosa avviene?
«Dopo il decesso, è prescritto nella Bibbia, bisogna provvedere il più rapidamente possibile, nello stesso giorno, a una sepoltura in terra. Quanto sia antica questa prescrizione lo documenta anche la notizia dei Vangeli su Gesù che dopo la crocifissione venne subito sepolto, prima del tramonto, nel rispetto dell’usanza ebraica. I riti sono essenziali, accompagnati dalla lettura di alcuni salmi e dalle manifestazioni di lutto, a cui sono tenuti i familiari stretti».

Di cosa si tratta?
«Per sette giorni dalla sepoltura chi ha perso un proprio caro deve rimanere in casa, ricevere gli amici e i parenti che lo consolano, rispettando alcuni divieti. Dopo una settimana può riprendere lentamente una vita normale, ma sobria. Ad esempio resta per un periodo l’interdizione a partecipare a feste e eventi pubblici».

Esistono anche altri riti?
«Al ritorno dal funerale i vicini portano alle persone in lutto cibi simbolici: caffè, lenticchie e un uovo sodo, che rappresentano tra l’altro la circolarità della vita».

Potete cremare i vostri morti?
«Prima della sepoltura facciamo un lavaggio del corpo, ma non la cremazione. È la scelta di una tradizione millenaria: il corpo deve tornare alla terra da cui è stato preso».

E andate a trovare chi non c’è più? 
«Ci sono momenti speciali in cui si va al cimitero – in ebraico è chiamato Beth ha-kevaròth, “la casa delle tombe”, ma anche, metaforicamente, “la casa dei viventi” – come gli anniversari e le vigilie di alcune ricorrenze. Ma senza esagerare: il rispetto per i morti non deve trasformarsi in culto».

Dove va a finire l’anima?
«Alcuni dicono che abbiamo cinque anime; ma secondo qualche cabalista sono decine. L’anima dovrebbe tornare alla fonte originaria, a quello che è chiamato tecnicamente il deposito originario delle anime».

E la metempsicosi, la reincarnazione delle anime?
«Nell’ebraismo questa idea compare molto tardivamente. Si è fatta strada nella tradizione, ma non è accettata da tutti i maestri che stabiliscono la dottrina
».

martedì 27 ottobre 2020

Testo del Kaddish, o Qaddish e Qadish (in aramaico קדיש, lett. Santificazione - plurale: Kaddishim)




RICCARDO DI SEGNI

https://digilander.libero.it/parasha/varie/edizioni/kadish/corpo.htm


Traduzione italiana


1 Sia magnificato e santificato il Suo grande nome

2 nel mondo che Egli ha creato conforme alla Sua volontà!

3 Venga il Suo Regno

4 e possa la Sua salvezza manifestarsi e il Suo unto arrivare

5 durante la vostra vita e la vostra esistenza

6 e durante l'esistenza di tutto il popolo d'Israele,

7 presto e nel più breve tempo! e dite, Amen.


Le successive due righe sono recitate dalla congregazione e poi dal conduttore:


8 Sia il Suo grande nome benedetto

9 per sempre e per tutta l'eternità!

10 Lodato, glorificato, innalzato

11 elevato, magnificato, celebrato, encomiato,

12 sia il nome del Santo Benedetto. Egli sia

13 al di sopra di ogni benedizione,

14 canto, celebrazione, e consolazion

15 che noi pronunciamo in questo mondo! E dite, Amen.


l Kaddish breve finisce qui.

Qui il "Kaddish completo" include:


16 Possano le preghiere e le suppliche

17 di tutto Israele 

18 essere accettate dal loro Padre che sta in Cielo. E dite, Amen


Qui il "kaddish dei rabbini" (compreso il Kaddish dopo un siyum) include:


19 Su Israele e sui nostri Maestri, sui loro allievi

20 e sugli allievi dei loro allievi,

21 che si occupano della santa Torà

22 che si trovano in questo [santo]z luogo o in qualsiasi altro luogo

23 vi sia pace abbondante

24 e grazia e pietà e misericordia e salvezza

25 e alimento in larghezza

26 da parte del nostro Dio, Signore del cielo e della terra;

.27 e dite, Amen.


Tutte le varianti eccetto il Kaddish breve concludono:


28 Scenda dal cielo un'abbondante pace

29 ed una vita felice

30 soddisfazione, aiuto, consolazione, rifugio

31 guarigione, redenzione, perdono, espiazione

32 sollievo e salvezza

33 per noi e per tutto il Suo popolo [su di noi e su tutto] Israele; e dite, Amen

34 Colui che fa regnare la pace nell’alto dei cieli

35 nella Sua [infinita misericordia accordi pace a noi

36 e a tutta [la Sua nazione Israele; e dite, Amen.


Testo del Kaddish di sepoltura

Nel Kaddish della sepoltura e quello dopo un siyum secondo gli Aschenaziti,i, le righe 2-3 sono sostituite da:

(syum vedere https://it.wikipedia.org/wiki/Siyum

37 Nel mondo che verrà rinnovato

38 e in cui Egli darà vita ai morti

39 e li farà risorgere a vita eterna

40 e ricostruirà la città di Gerusalemme

41 e vi completerà il Suo tempio

42 ed estirperà culti stranieri dalla terra

43 e ristabilirà l'adorazione celeste al suo posto

44 e possa il Santo, che Egli sia benedetto,

45 regnare nel Suo splendore sovrano ...


Recenti aggiunte a Oseh Shalom

In alcuni libri di preghiere recenti – per esempio il Machzor riformato americano[8] – la riga 36 viene sostituita da:



36    su tutto Israele, e tutti coloro che vivono sulla terra; e dite: Amen.


Questo impegno ad estendere Oseh Shalom ai non ebrei sembra essere stata l'iniziativa del movimento ebraico liberale britannico nel 1967, con l'introduzione di v`al kol bnai Adam ("e su tutti i/le figli/e di Adamo"); queste parole continuano ad essere usate da alcune congregazioni nel Regno Unito.


https://it.wikipedia.org/wiki/Kaddish   vi sai trovano le  note  di chiarificazione,il testo ebraico/aramaico e la traslitterazione 



https://www.comunitaebraicabologna.it/it/cultura/benedizioni-e-preghiere/143-il-kaddish





lunedì 26 ottobre 2020

Le radici ebraiche del Padre nostro- DAL QADDISH AL PADRE NOSTRO Le radici ebraiche della preghiera cristiana


"Dietro ogni invocazione del Padre Nostro, sono riconoscibili espressioni di preghiere ebraiche o dell'Antico Testamento

********
"Abbiamo visto come essa è intessuta di realtà bibliche (i"cieli"; il "regno"; la "volontà" di Dio; il "pane"; i "debiti"; la "tentazione"; il "male"…), ma ne esce, le supera. Non ci rivolgiamo a "Colui che è", all'"Onnipotente", all'"Altissimo", ma al "Padre", che è la fonte della vita, il Dio di tutti gli esseri viventi. ...È Padre, ma è anche Uno, è "Colui che è", è l'"Altissimo", l' "Onnipotente". È Tutto.







DAL QADDISH AL PADRE NOSTRO
Le radici ebraiche della preghiera cristiana


Il Qaddish, che letteralmente significa santificazione, è una delle più antiche preghiere ebraiche recitata
soltanto alla presenza di un miniam (quorum) composto da dieci uomini che abbiano compiuto la
maggiore età religiosa di 13 anni, cioè dopo il conferimento del Bar mitzvah (figlio del precetto) che
rende responsabili di fronte alla Torah. La tradizione conserva diversi tipi di qaddishim, ma il tema
fondamentale è sempre l’esaltazione, la magnificazione e la santificazione del Nome divino. Proprio
questo aspetto coincide con l’incipit del Padre Nostro prendendo poi in prestito anche ulteriori formule
del Qaddish, che scandisce l’ufficio sinagogale nelle sue differenti versioni per intervallare le sezioni
della liturgia. Alla luce di queste varie tipologie di qaddishim appare chiaro come tutte le invocazioni del
Padre Nostro siano espressioni riconoscibili di preghiere ebraiche, alcune di poco posteriori all’epoca di
Cristo, altre tratte direttamente dall’Antico Testamento. Preghiere come le Berakhot (benedizioni), lo
Shema’ Israel (Ascolta Israele) o le Tefillot (preghiere quotidiane), proclamano l’unicità di Dio e del Suo
popolo nella speranza dell’imminente venuta del Suo Regno. Preghiere ebraiche divenute cristiane nel
Padre Nostro, la preghiera di Gesù che permette ad ebrei e cristiani di ritrovare le loro radici comuni


sabato 26 settembre 2020

Jean-Paul Sartre in “L’antisemitismo – Riflessioni sulla questione ebraicaRiflessioni sulla questione antisemita. Delphine Horvilleur


"L’antisemitismo, in una parola, è la paura di fronte alla condizione umana. L’antisemita è l’uomo che vuole essere roccia spietata, un torrente furioso, fulmine devastatore: tutto fuorché un uomo."

La frase: “Io odio gli ebrei” è di quelle che si pronunziano in gruppo; pronunziandola, ci si riattacca ad una tradizione e ad una comunità: quella dei mediocri.



… l’ebreo oggetto di tanta esecrazione, è completamente innocente e direi anzi inoffensivo.

C’è una sincerità, una giovinezza, un calore nelle manifestazioni di amicizia di un ebreo come raramente si potrà trovare in un cristiano, invischiato nelle sue tradizioni e nelle sue cerimonie. Da ciò deriva anche il carattere disarmato della sofferenza ebraica, la più sconvolgente delle sofferenze.


Dopo la sua emancipazione, cioè da un secolo e mezzo circa a questa arte, l’ebreo tenta di farsi accettare da una società che lo respinge.


…bisognerà dimostrare  a ciascuno che il destino degli ebrei è il suo destino.

" ---è un uomo che ha paura. Non degli ebrei, certamente: ma di sé stesso, della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi istinti, delle sue responsabilità, della solitudine, del cambiamento della società e del mondo; di tutto meno degli ebrei… Sceglie la permanenza e l’impenetrabilità della pietra, l’irresponsabilità totale del guerriero che obbedisce ai suoi capi, ed egli non ha un capo. Sceglie di non acquistare niente, di non meritare niente, ma che tutto gli sia dovuto per nascita – e non è nobile. Sceglie infine che il Bene sia bell’è fatto, fuori discussione, intoccabile… L’ebreo qui è solo un pretesto: altrove ci si servirà del negro o del giallo».


Anche nel democratico più liberale si può nascondere una sfumatura di antisemitismo: egli è ostile all'ebreo nella misura in cui questi osa pensarsi, appunto, ebreo.

https://www.festivalsophia.it/2019/06/27/unatantumsartre-e-lantisemitismo/

https://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/riflessioni-sulla-questione-ebraica-di-jean-paul-sartre/



Sartre aveva mostrato nelle Riflessioni sulla questione ebraica come l’ebreo sia definito in forma inversa attraverso lo sguardo dell’antisemita. Delphine Horvilleur sceglie qui di fare il contrario: esplorare l’antisemitismo attraverso i testi sacri, la tradizione rabbinica e le leggende ebraiche. Horvilleur analizza la particola coscienza che gli ebrei hanno di ciò che abita la psiche antisemita nel corso del tempo: l’ebreo è di volta in volta rimproverato di impedire al mondo di fare «tutto»; di confiscare qualche cosa al gruppo, alla nazione o all’individuo; di mancare di virilità e di incarnare il femminino, la mancanza, l’assenza, la faglia identitaria che minaccia l’integrità della comunità. L’esegesi di questa letteratura è a maggior ragione più rilevante in quanto i motivi ricorrenti dell’antisemitismo sono oggi rivitalizzati nel discorso dell’estrema destra e dell’estrema sinistra. Questo libro offre gli strumenti di resilienza per sfuggire al ripiegamento identitario: la tradizione rabbinica non si preoccupa tanto di venire a capo dell’odio verso gli ebrei (fatica sprecata...) quanto di offrire armi per premunirsi contro di esso. Esso inoltre, per chi lo sappia leggere, rappresenta una via d’uscita dalla competizione vittimaria che caratterizza i nostri tempi di odio ed esclusione.


"L’ebreo è sovente odiato non per ciò che NON HA ma per ciò che HA. Non lo si accusa di avere meno, bensì di possedere ciò che spetta a noi altri e che è stato senz’altro usurpato."

mercoledì 9 settembre 2020

Addio allo scrittore e studioso Amos Luzzatto

Addio allo scrittore e studioso Amos Luzzatto

Medico, biblista, presidente delle comunità ebraiche italiane, Luzzatto è stato una figura centrale dell'ebraismo italiano del dopoguerra. Si è spento a Venezia a 92 anni


https://www.repubblica.it/robinson/2020/09/09/news/addio_allo_scrittore_e_studioso_amos_luzzatto-266725929/?ref=RHPPTP-BH-I266666697-C12-P9-S3.4-T1


Uomo profondamente buono e interessato all'essere umano definì la svolta razzista del fascismo non tanto l'introduzione delle leggi razziali, ma, ben prima, la campagna antietiope che portò l'Italia ad attaccare un'altra nazione cristiana con una propaganda che definifa gli africani "esseri inferiori". 


"Proprio questo", spiegò, "è quello che mi fa temere un ritorno a tempi che inevitabilmente portano a una guerra e distruzione di vaste proporzioni: quando la propaganda attacca gli esseri umani in quanto tali e fa bassa politica di partito arrivando a dividere gli uomini per colore della pelle solo per assicurare una poltrona a candidati che altrimenti non saprebbero come sbarcare il lunario".

https://mattinopadova.gelocal.it/regione/2020/09/09/news/morto-a-venezia-amos-luzzatto-ex-presidente-delle-comunita-ebraiche-italiane-1.39286163


In Conta e racconta: memorie di un ebreo di sinistra, pubblicato nel 2008 da Mursia in occasione dei suoi 80 anni, Amos Luzzatto faceva il bilancio della sua vita piena di sfide nel segno delle radici e dei molti straordinari antenati di cui conservava la memoria. Dal nonno materno, il rabbino e intellettuale Dante Lattes, al poeta, esegeta ed ebraista Samuel David Luzzatto, suo trisavolo, conosciuto anche come Shadal. Tra i suoi cugini il grande intellettuale triestino Giorgio Voghera. “Il mio nome esatto è Amos Michelangelo Luzzatto, figlio di Leone Michele e di Emilia Lina Lattes - scriveva nell'autobiografia - La mia famiglia è molto composita. I Luzzatto sono originariamente ebrei veneti, giunti, pare, dalla Lusazia, rintracciabili alla fine del XV secolo fra Venezia, il Friuli e il Veneto orientale. La lapide della tomba sul punto più elevato del cimitero ebraico di Conegliano Veneto appartiene a un Luzzatto e ne presenta lo stemma: un gallo che tiene tre spighe in una zampa, sormontato da una mezzaluna e da tre stelle a cinque punte”.


https://www.ilmattino.it/cultura/libri/amos_luzzatto_morto_oggi_ebrei-5452496.html

mercoledì 2 settembre 2020

Dalla "Haggadah di Pesach secondo l’uso della comunità ebraica di Roma

[Io credo con fede incrollabile nella venuta del Messia ed anche se
dovesse tardare io continuerò ad aspettarlo ogni giorno a venire]

file:///Users/A2-14/Downloads/Haggadah_di_Pesach_Traslitterata.pdf

Realizzata da Joram Marino sulla base del testo e delle note di Rav
Alfredo S. Toaff e della registrazione audio coordinata da Rav Elio Toaff.
Documento rilasciato sotto licenza CC BY-NC-ND - Per favore trattare questo testo con il dovuto rispetto.


Pesach sheaiù avotenu ochlim bizman shebet amikdash kaiam al shum ma? Al shum shepasach aKadosh baruch U al battè avotenu beMitzraim, shenneemar: vaamartem zevach Pesach u l’A. asher pasach al battè benè Israel beMitzraim benogpò et Mitzraim veet battenu itzil vaikod aam vaishtachavù.

[L’agnello che i nostri padri mangiavano al tempo del Santuario, perché  lo mangiavano? perchè il Santo, Benedetto Egli sia, passò oltre le case dei nostri padri in Egitto come è detto (Es XII,27): “Voi direte: -è questo il sacrificio pasquale (Pesach) in onore del S. che passò oltre (pasach) le case  dei figli di Israele allorquando colpì a morte gli egiziani e salvò le nostre  dimore- e il popolo si inchinò e si prostrò”.]

Si prende in mano l’azzima dicendo: Matzà zo sheanu ochlim al shum ma? Al shum shelò ispik betzekam shel avotenu leachmitz ad sheniglà aleem melech malchè ammelachim aKadosh baruch U ughalam miiad, shenneemar: vaiofù et abbatzek asher otziu miMitzraim, uggot matzot ki lò chametz, ki goreshù miMitzraim velò iachelù leitmamea vegam tzedà lò asù laem.

[Quest'azzima che noi mangiamo, perché la mangiamo? Perché la pasta dei nostri padri non ebbe tempo di lievitare poiché il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia, si manifestò loro e li liberò subito, come è detto (Es XII,39): "Fecero cuocere la pasta che avevano portato via dall'Egitto facendone focacce azzime, non essendo lievitata in quanto erano stati cacciati in fretta dall'Egitto e non avevano potuto attendere che lievitasse né d’altra parte
possedevano altra scorta di provviste".]


Si prende in mano l’erba amara dicendo: Maror zo sheanu ochlim al shum ma? al shum she marerù ammitzrim at chaiè avotenu beMitzraim, shenneemar: vaimarerù et chaieem baavodà kashà, bechomer uvilvenim uvkol avodà bassadè, et kol avodatam asher avdù baem befarech.

[Quest'erba amara che noi mangiamo, perché la mangiamo? Perché gli egiziani amareggiarono la vita dei nostri padri in Egitto come è detto (Es I,14): "Amareggiarono la loro vita con duri lavori di creta e mattoni e tutti i lavori di campagna ed ogni altro genere di lavoro con durezza".]



giovedì 27 agosto 2020

Ascolta, Israele, il Signore è il nostro D-o, il Signore è Uno.



Iscrizione dello Shemà Israel sulla Menorah del Knesset a Gerusalemme








«Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. E metterai queste parole che Io (cioè Dio) ti comando oggi, nel tuo cuore, e le insegnerai ai tuoi figli, pronunciandole quando riposi in casa, quando cammini per la strada, quando ti addormenti e quando ti alzi. E le legherai al tuo braccio, e le userai come separatore tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte (delle città). E sarà, se ascolterete i Miei comandamenti, che oggi vi do, di amare il vostro Dio e di onorarlo con tutto i vostro cuore, con tutta la vostra anima e con tutte le vostre forze, (allora) vi darò rugiada per le vostre terre, pioggia primaverile ed estiva, così raccoglierete le vostre granaglie, il vostro vino ed il vostro olio, e darò erba per il tuo bestiame, e mangerete e sarete soddisfatti. Ma guardatevi dall'aprire i vostri cuori a rivolgervi al culto di altri dei, e di adorarli, perché (allora) l’ira di Dio sarà contro di voi, e chiuderà il cielo, e non ci sarà rugiada, e la terra non darà il suo prodotto, e passerete (sarete estinti) rapidamente dalla buona terra che Dio vi ha dato. E (quindi) mettete queste parole nel vostro cuore e nella vostra anima, e siano come parole sulle vostre mani e tra i vostri occhi, e insegnatele ai vostri figli, e pronunciatele quando riposate nelle vostre case, quando camminate per strada, quando vi addormentate e quando vi alzate, e scrivetele sugli stipiti delle vostre case e sulle vostre porte. Così saranno moltiplicati i vostri giorni e di giorni dei vostri figli nella terra che Dio promise ai vostri padri di dare loro, per tanto quanto durano i giorni del cielo sulla terra. E Dio disse a Mosè: dì ai figli di Israele di fare d’ora in poi delle frange agli angoli dei loro vestiti, e vi sia un filo azzurro in ognuna di queste frange. Questi saranno i vostri zizzit, e guardandoli ricorderete i precetti divini, e li osserverete, e non seguirete i (vezzi del) vostro cuore e (le immagini dei) vostri occhi, che vi fanno deviare seguendoli. Così ricorderete e osserverete tutti i precetti, e sarete santi per il vostro Dio. Io sono il Signore Dio vostro, che vi ha fatto uscire dalla terra di Egitto per essere il vostro Dio, Io sono il Signore, vostro Dio.»

venerdì 14 agosto 2020

Comandamenti del poeta a Dio [che solo un figlio legittimo, un ebreo, può concepire: noi figli adottivi no - ndr-Leonardo Lenzi]


Comandamenti del poeta a Dio
[che solo un figlio legittimo, un ebreo, può concepire: noi figli adottivi no - ndr-Leonardo  Lenzi]



Tu non Ti rifiuterai di rispondere a chi grida a Te con tutto il cuore.

Tu non disprezzerai il misero e l'afflitto quando implorano la tua misericordia.

Tu non rimprovererai il povero e l'oppresso quando compaiono davanti a Te.

Tu non lascerai che la tua creatura se ne torni a mani vuote dalla Tua porta.

Tu non la affliggerai né la umilierai per il suo peccato e la sua colpa.

Tu non la redarguirai nella Tua ira quando essa abbandona i suoi sentieri.

Tu non le opporrai i suoi peccati trascorsi, sepolti nel suo petto.

Tu non tratterrai il pegno di chi si è macchiato di crimini.

Tu non allontanerai colui che si smarrisce, ma lo condurrai a Te quando ritorna.

Tu non lo punirai nella Tua collera, ma guarirai il suo dolore.

Tu non distruggerai il malvagio e il ribelle quando invertono il loro cammino.

Tu non opprimerai né ti vendicherai di chi compie il male e l'inganno.

Tu non estenderai la tua ira sul tuo popolo sofferente per tutte le generazioni.

Tu non lo abbandonerai e non lo lascerai solo, perché grande è il suo dolore.
Tu non lo consegnerai per sempre nelle mani dei suoi nemici.

Tu non abbandonerai la Tua

domenica 26 luglio 2020

Bernard-Henri Lévy -il“ lungo grido di odio che, da secoli, perseguita il Popolo della Parola“

Su  e  con  Bernard-Henri Lévy  si  può  dissentire  anche  ferocemente .Ieri  25  luglio si  è  presentato  in  Libia per testimoniare l'eccidio avvenuto a Tarhuna, città a oltre 90 chilometri a sud-est di Tripoli, controllata dalle milizie libiche. 



"Oggi, 25 luglio" si legge su un tweet del giornalista, "Campo di sterminio a Tarhuna. Questa città ha subito il martirio #Khadafi. 47 cadaveri, compresi i bambini, le mani serrate dietro, sono stati recentemente ritrovati in una fossa: hanno subito il martirio da parte delle milizie di #Haftar. Il mio dolore. La mia rabbia Solidarietà con #Tarhuna




i miliziani fedeli al governo di Fayez al-Sarraj (supportato dalle Nazioni Unite) mentre gli bloccano la strada e sparando colpi nella direzione del suo convoglio   per costringerlo a tornare indietro. "Cane ebreo", hanno gridato, tra i vari insulti antisemiti



BHL  è  ebreo,appartiene  alla  santa  gens  d'Israele Probabilmente  gli  appartiene  laicalmente. Ma  vi  appartiene  ''toto  corde'' Il  suo  libro  ''IL TESTAMENTO DI DIO''ha partecipato  sin  dal  1979 -avevo 28  anni-al  mio  cammino.L'ho  recentemente  riletto  e  mi  accompagna  in  questa  fase  ultima  della  mia  vita come  antidoto  ad  ogni  veleno  idolatrico  di  chi  annuncia  se  stesso e  non  l'Altro  da  sè


«Il monoteismo», conclude Lévy, «è il pensiero di resistenza della nostra epoca perché propone una definizione del male, una dottrina della giustizia, un'etica e una metafisica del tempo

sabato 11 luglio 2020

INTERVISTA A ENNIO MORRICONE (23 Marzo 2014)

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Mi pare fosse il 1940 o '41. C'era la guerra. Roma invasa dai tedeschi. Avvertivo un senso di disperazione e di frenesia. Era la fame a scatenare i sentimenti più tristi. Con le tessere in dotazione non riuscivamo a soddisfare l'acquisto del pane e della pasta. Ma la cosa peggiore fu un'altra".


"In quel periodo non sapevamo niente degli ebrei che venivano fermati, arrestati, deportati. E questo accadeva anche a pochi passi da casa. Ancora oggi avverto un lancinante dolore per quelle storie ignorate, per quei drammi invisibili dei quali siamo stati ampiamente inconsapevoli".


Sapere è importante?
"Lo è per decidere. Se dici: ignoravo ciò che è accaduto, poi ti devi chiedere: vale come giustificazione?"

"Oggi penso che anche il non sapere sia una forma di responsabilità".


https://www.repubblica.it/cultura/2014/03/23/news/morricone_la_musica_mi_ha_salvato_da_fame_e_guerra_ma_l_arte_puro_talento_la_sofferenza_non_c_entra-81694317/?ref=search

giovedì 2 luglio 2020

Certe cose non si dimenticano maiYair Agmon



Tefillin, The Tallit, Judaism, Kip


“I miei poveri e tristi tefillìn erano pieni di una muffa malefica, bianca e puzzolente.”






https://www.kolot.it/2020/05/17/certe-cose-non-si-dimenticano-mai/#more-10370

Venti anni e due mesi fa, arrivato a 13 anni, ricevetti da mia madre il mio primo paio di tefillìn. Nella casa dove sono cresciuto non c’era un padre, e allora un caro amico di mia madre, si chiamava Yehoshafàt, mi insegnò come si mettono i tefillìn e come si benedice su di essi. Mi ricordo di questo giorno, la sua casa era bella, silenziosa, gerosolimitana e piena di libri, e quando entrai mi tremavano le gambe dall’emozione. Che follia i tefillìn, quanto è privo di senso legarsi delle strisce di pelle animale sulla testa e sul braccio e ciò nonostante questa follia commuove, qualcosa di questa fisicità viene sentita come giusta. È difficile spiegarlo, esprimerlo, non ci provo nemmeno.




Dopo il bar mitzvà iniziai a mettere i tefillìn ogni mattina. Nelle tefillòt di Shachrìt della scuola religiosa dove studiavo, andavamo uno dall’altro e ci aiutavamo a sistemare i tefillìn esattamente in linea in mezzo agli occhi. È qualcosa che si fa a questa età, mi sembra. Ricordo come una mattina, un ragazzo ripugnante della mia classe mi venne incontro, guardò i miei tefillìn e iniziò a ridere. Hai i tefillìn fatti con pelle di bestiame minuto, che sfigato, disse proprio così. Ma che cos’è la pelle di bestiame minuto, domandai, e il ragazzo rise e disse, sono i tefillìn peggiori e quelli che costano meno di tutti. Non dimenticherò mai per tutta la vita questo momento, le orecchie mi diventarono rosse per la vergogna. Nella casa dove sono cresciuto non giravano molti soldi. Mia madre lavorava in posti diversi per arrivare alla fine del mese. Tutti i miei amici avevano dei tefillìn di lusso fatti con pelle di bestiame grosso e solo i miei costavano poco ed erano da sfigati. Oggi mi fa sorridere ma allora mi vergognavo, mi vergognavo un sacco. Ci sono vergogne che quando ti ritornano in mente, senti subito qualcosa di aspro in gola.




Durante i miei primi giorni all’esercito ancora mettevo i tefillìn ogni tanto, ma alla fine dell’addestramento, quanto smisi di portare la kippà, smisi di pregare e smisi anche di metterli. Ancora per alcuni mesi me li portavo dietro nella borsa militare, così solo per abitudine, ma presto anche questo finì e i tefillìn rimasero a casa, tristi, silenziosi e orfani.




Nel 2015 morì mio padre. Fu amara la vita allora, non ho nemmeno la forza di ricordare quanto, ma nella settimana di lutto ripresi a mettere i tefillìn. È quello che di solito si fa durante la settimana, si prega, si mangia, si fuma, si rimane da soli e si piange. Finita la settimana, decisi di pregare tre volte al giorno per poter dire il Kaddìsh per mio padre. Allora abitavano a Kèrem Hatemanìm a Tel Aviv, vicini vicini al mare e non lontano da casa c’era un tempio piccolo e simpatico, ma quando arrivai là a pregare con i tefillìn e tutto, non riuscii a dire il Kaddìsh per la vergogna e la nostalgia. In un momento di disperazione e di tristezza rinunciai a tutto, ai tefillìn, al Kaddìsh e al mio cuore stanco già di tutto.




E così, da quel giorno fino all’inizio del Covid-19 non ho più messo mano ai miei tefillìn. Ma qualche settimana fa, quando è iniziato il lockdown, stavo mettendo a posto a casa e improvvisamente li ho rivisti, buttati in fondo all’armadio nel loro triste sacchetto di stoffa. Senza pensarci troppo li ho presi in mano e ho aperto il sacchetto. Ahimè, povero me, che cosa ho trovato quando l’ho aperto. I miei poveri e tristi tefillìn erano pieni di una muffa malefica, bianca e puzzolente. Mi sono immediatamente fatto piccolo, mi faceva veramente male tutto il corpo, mi faceva male il cuore, mi faceva male la mano, mi faceva male la fronte, terribile. Muffa sui tefillìn, così nel bel mezzo di una pandemia, in un mare nero di incertezza, a che serve tutto questo, mi sono chiesto, a che cosa serve. Lo stomaco mi si è attorcigliato dalla tristezza e dall’odore. Avevo le lacrime agli occhi.




Dopo qualche freddo minuto di tristezza ho aperto le cinghie e ho fatto caso che i contenitori erano rimasti intatti e neri. Senza pensarci troppo ho tolto le cinghie marcite e le ho seppellite. Quando finirà il Covid-19 e la sfiga si darà una calmata, mi sono detto, comprerò delle cinghie nuove, chissà, magari tornerò addirittura a mettere i tefillìn ogni tanto, che potrà mai succedere.




Negli ultimi due mesi lavoro alle riprese di un progetto documentario complesso e pazzo nell’ospedale Ichilov, che racconterà un giorno, spero, l’epidemia Covid-19 da un punto di vista interessante e pieno d’emozione. Il caso ha voluto che una settimana fa stavo riprendendo due pazienti in ventilazione che erano usciti dai reparti isolati all’aria aperta per incontrare i familiari. Uno dei pazienti si chiamava Shimon, un charedì di Benè Beràk, che ha chiesto al personale dell’ospedale di essere aiutato a mettere i tefillìn, ma non c’era nessuno che sapesse veramente come si faceva. E così mi sono trovato, io che sono un datlàsh (sigla di “ex-osservante” NdT) confuso, a mettere i tefillìn a un paziente in ventilazione dagli occhi vispi.




Shimon mi ha chiesto di dire al posto suo le benedizioni a voce alta ed è quello che ho fatto. Quanto tempo era che non dicevo le benedizioni dei tefillìn a voce alta. Ho prima accostato i tefillìn sul braccio, in direzione del cuore e poi ho avvolto le cinghie intorno al suo braccio, sopra i tubicini e gli aghi. Poi ho detto una seconda benedizione e gli ho messo i tefillìn sulla testa, esattamente in mezzo, tra gli occhi, e infine ho incrociato delicatamente le cinghie sulla mano, senza far confusione. Certe cose non si dimenticano mai.




Mi sono veramente commosso, non proverò nemmeno qui a scrivere quanto. Mi è difficile pensare a una cosa più importante e più emozionante mai fatta in tutta la vita. Il rabbino Shimon che piangeva lacrimando e diceva lo Shemà Israèl, io che lo guardavo e scoppiavo a piangere. Piangevo per questa epidemia opprimente che strangola ogni cosa, piangevo per il dolce Shimon  che stava guarendo, piangevo per i miei tefillìn che costano poco, stanchi e soli, che si erano ammuffiti, erano passati così tanti anni, avevo ricevuto così tanti avvertimenti, mi erano stati inviati così tanti segnali, è arrivato il momento dei tefillìn, è arrivato il momento dei tefillìn, e ancora non ero stato capace di metterli ed ecco, di botto, nel mezzo di una brutta epidemia, li sto mettendo di nuovo, sto dicendo di nuovo le benedizioni, e la vita è così folle, concentrata, piena, bella. Incredibile.




Traduzione D. Piazza




Makòr Rishòn 15.5.2020 – Titolo originale: “Devarìm shelò shokhachìm”




Yair Agmon (9.7.1987) è scrittore, cineasta e pubblicista.