martedì 24 novembre 2020

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma intervistato dal quotidiano Libero.  Prima Parte

 



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https://www.kolot.it/2020/11/11/riccardo-di-segni-rabbino-capo-a-libero-come-laldila-per-noi-ebrei/#more-10786


Per capire come gli ebrei pensano la morte e l’Aldilà bisogna andare nel ghetto di Roma. Uno dei posti dove è passata la Storia. Il cuore della più antica comunità ebraica del mondo fuori dalla Terra Promessa, violato il 16 ottobre 1943 dai rastrellamenti dei nazisti, è custodito da quasi vent’ anni dal rabbino capoRiccardo Di Segni. Gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori, come diceva Giovanni Paolo II, e per sapere come immaginano l’oltretomba e la vita eterna ho parlato con lui.

Rabbino Di Segni, com’è l’Aldilà per gli ebrei? 
«Al riguardo abbiamo molte idee, e anche principi di fede; ma non è un tema definito con estrema precisione dottrinale. Si parla in particolare di un principio: la resurrezione dei morti».

C’è una vita oltre la morte?
«In un momento della storia o dopo la storia, tutti coloro che hanno vissuto in questo mondo torneranno a vivere. Questo è un principio che noi ripetiamo tre volte al giorno nelle preghiere, benedicendo il Signore che resuscita i morti. Quando questo accada, però, non lo sappiamo. C’è un’idea fondamentale: l’Olam Abbà, cioè il mondo a venire, la dimensione dove entrano tutte le persone che sono state su questa terra e che ora non ci sono più».

Ci spiega meglio, rabbino, l’Olam Abbà?
«Cosa sia esattamente è un po’ azzardato definirlo. È il luogo in cui i giusti saranno premiati, mentre chi non si è comportato giustamente dovrà scontare delle punizioni. Ma nella religione ebraica l’attenzione e la concentrazione sono sulla vita in questo mondo, su quello che dobbiamo fare qui. È molto raro che un maestro dica: “Fate così, perché così andrete nel (cosiddetto) Paradiso”».

Ma allora anche per gli ebrei esistono il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno?
«La parola Paradiso, che a quanto pare è di origine persiana, in ebraico rabbinico è il Pardes, che indica un frutteto. Usiamo piuttosto il termine “giardino dell’Eden”, dal quale l’uomo è stato cacciato e che può essere il luogo in cui le anime tornano. Alcuni autori hanno parlato di qualcosa che assomiglia ai gironi infernali danteschi, su cui si dilunga lo Zohar (il libro dello Splendore, nda), mentre altri hanno omesso queste rappresentazioni».

E lei, come se lo immagina l’Aldilà?
«Non ci sono mai stato, per cui… (il rabbino sorride). Non è al centro delle mie attenzioni. Mi preoccupano di più le difficoltà terrene».

È vero che la resurrezione della carne deriva dall’Antico Testamento e dalla visione di Ezechiele? 
«Il profeta Ezechiele (37, 1-14) la rappresenta in una profezia molto suggestiva: immagina una valle piena di scheletri e il Signore, parlando loro, li fa tornare piano piano in vita, infondendoli di spirito e ricoprendoli “di muscoli, tendini, carne e pelle”».

Chi spera di riabbracciare per primo nell’Aldilà?
«Bisognerà vedere se ci sarà un abbraccio, una contemplazione o un incontro. Non sappiamo quello che accadrà. Come principio di fede affermiamo che i morti torneranno a vivere. Come, dove, quando, in quali condizioni resta un grande punto interrogativo. L’idea essenziale è che con il passaggio della morte non finisce tutto perché è una transizione da uno stato all’altro».

Cosa intende per stato? 
«Una situazione. Qualcuno per raccontarlo ha proposto un esempio molto suggestivo: la vita fetale, dove c’è una creatura che vive. Poi a un certo punto con il parto si esce in un mondo differente, si entra in un’altra dimensione».

E la morte? Come sono i funerali nell’ebraismo?
«Una persona che sta per lasciarci viene accompagnata negli ultimi momenti dai suoi cari o da un maestro che gli fa recitare alcuni dei nostri testi fondamentali. E lo invita a una confessione generica, senza entrare nei dettagli: “Abbiamo fatto… abbiamo peccato”. Ognuno, nel suo rapporto con il Creatore, ci mette quello che vuole. Senza raccontarlo agli altri».

E poi cosa avviene?
«Dopo il decesso, è prescritto nella Bibbia, bisogna provvedere il più rapidamente possibile, nello stesso giorno, a una sepoltura in terra. Quanto sia antica questa prescrizione lo documenta anche la notizia dei Vangeli su Gesù che dopo la crocifissione venne subito sepolto, prima del tramonto, nel rispetto dell’usanza ebraica. I riti sono essenziali, accompagnati dalla lettura di alcuni salmi e dalle manifestazioni di lutto, a cui sono tenuti i familiari stretti».

Di cosa si tratta?
«Per sette giorni dalla sepoltura chi ha perso un proprio caro deve rimanere in casa, ricevere gli amici e i parenti che lo consolano, rispettando alcuni divieti. Dopo una settimana può riprendere lentamente una vita normale, ma sobria. Ad esempio resta per un periodo l’interdizione a partecipare a feste e eventi pubblici».

Esistono anche altri riti?
«Al ritorno dal funerale i vicini portano alle persone in lutto cibi simbolici: caffè, lenticchie e un uovo sodo, che rappresentano tra l’altro la circolarità della vita».

Potete cremare i vostri morti?
«Prima della sepoltura facciamo un lavaggio del corpo, ma non la cremazione. È la scelta di una tradizione millenaria: il corpo deve tornare alla terra da cui è stato preso».

E andate a trovare chi non c’è più? 
«Ci sono momenti speciali in cui si va al cimitero – in ebraico è chiamato Beth ha-kevaròth, “la casa delle tombe”, ma anche, metaforicamente, “la casa dei viventi” – come gli anniversari e le vigilie di alcune ricorrenze. Ma senza esagerare: il rispetto per i morti non deve trasformarsi in culto».

Dove va a finire l’anima?
«Alcuni dicono che abbiamo cinque anime; ma secondo qualche cabalista sono decine. L’anima dovrebbe tornare alla fonte originaria, a quello che è chiamato tecnicamente il deposito originario delle anime».

E la metempsicosi, la reincarnazione delle anime?
«Nell’ebraismo questa idea compare molto tardivamente. Si è fatta strada nella tradizione, ma non è accettata da tutti i maestri che stabiliscono la dottrina
».

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