giovedì 9 dicembre 2021

Il "deicidio" smentito dagli stessi Vangeli.Giacomo Korn ( g.korn (at) tin.it ) Roma 2005




Il "deicidio" smentito dagli stessi Vangeli

sta in

https://www.morasha.it/deicidio/index.html


Prefazione


Questo lavoro scaturisce dalla speranza in un mondo migliore, in cui tutti gli esseri umani possano godere di pari libertà e di pari opportunità. La speranza, per poter crescere, ha tuttavia prima bisogno che il suo seme sia piantato.


Battersi al fine di contrastare una delle ignominie più odiose dell’umanità, l’antisemitismo, che per secoli ha procurato immani sofferenze all’intero Popolo ebraico, è il motivo stesso di questa speranza.


Uguale valenza ha l’opporsi ad ogni tipo di discriminazione razziale.


Su questa scia bisogna pertanto adoperarsi in ogni modo per far sì che, quanto prima, abbiano a cessare le troppe ingiustizie che si estrinsecano nello sterminio di un enorme numero di individui che, ancora oggi e in tutto il mondo, muoiono per fame, sete, violenze e guerre.


L’antisemitismo ha inequivocabilmente una matrice religiosa, per la precisione cristiana.


Con ciò non si intende dire che ogni manifestazione violenta di antisemitismo sia addebitabile al cristianesimo, bensì che esso è divenuto la causa, anche indiretta, degli innumerevoli fatti cruenti perpetrati attraverso i secoli nei confronti del popolo ebraico. Quando si generano i “mostri”, rimane assai difficile poterli poi controllare.


Infatti, la matrice religiosa dell’antisemitismo è stata presa a “pretesto” anche per mettere in atto il genocidio, da parte del nazismo e “non” del cattolicesimo, nei confronti di un intero popolo. Il perno su cui per secoli ha fatto leva questo odioso sentimento è, in primo luogo, l’accusa di “deicidio” rivolta all’intero Popolo Ebraico. Quale migliore giustificazione per eliminare il “nemico” se non quella di addossare allo stesso il crimine peggiore che possa esistere: l’uccisione di Dio stesso. Di questa mistificazione si è resa ben conto, finalmente, la stessa Chiesa cattolica, tant’è vero che, ad iniziare dal Pontefice Giovanni XXIII fino ad arrivare all’appena scomparso Papa Giovanni Paolo II, si è potuto assistere ad un susseguirsi di prese di posizione e di rettifiche storiche. La prima è da ricollegarsi alle risultanze scaturite dal Concilio Ecumenico Vaticano II in ordine alla cancellazione (parziale) dell’accusa di avere ucciso Gesù Cristo rivolta agli Ebrei. Parziale perché, come si avrà modo di argomentare più avanti, la Dichiarazione Conciliare “Nostra Aetate” alla fine è stata molto sfumata in relazione a questa accusa.


In ogni caso, oggi potrebbe apparire fuori luogo o, quantomeno, non più attuale parlare ancora dell’accusa di “deicidio”, dal momento che anche la Chiesa ha ammesso l’inconsistenza della stessa, e la ha depennata.


Ad avviso di chi scrive, invece, non è opportuno dare per scontato che ormai, sotto questo specifico punto di vista, sia stato tutto “sistemato”. I motivi principali di questa asserzione sono, in estrema sintesi, i seguenti.


Si riscontra ancora, e purtroppo, un forte scollamento tra quanto impartito in proposito dai vertici della Chiesa cattolica e quanto fatto proprio da tutta la “catena” di insegnamento religioso, che ha il compito di arrivare fino alla base dei fedeli. Senza parlare, anche, delle non poche resistenze “interne” che, ad oggi, si avvertono ancora a livello di parte della medesima comunità cardinalizia. Nel prosieguo, si potrà verificare quanto lavoro rimanga ancora da fare in tale direzione.


Esiste tutt’ora un forte sentimento antisemita protervamente “coltivato” da parte di un preoccupante numero di soggetti appartenenti alla cristianità che continuano a fomentare con livore l’odio contro gli Ebrei richiamando, in primo luogo, le accuse di deicidio, con libelli e quant’altro (editi e diffusi). E’ questo un efficace modo per “automotivarsi” della giustezza di azioni antisemite. Nulla da meravigliarsi, però, se tuttora si deve rilevare che circola indisturbato il “Mein Kampf” (la mia lotta) di Hitler. Diviene allora inevitabile che l’Ebreo (in quanto persona e non solo come professante la religione ebraica) continui ad essere percepito come il “male assoluto”.


Queste sono le motivazioni principali (ma altre se ne potrebbero aggiungere) per cui si reputa opportuno, ancora oggi, non abbandonare ogni sforzo inteso (almeno laddove e umanamente possibile) a portare argomentazioni valide a confutare la funesta tesi del deicidio, ed il conseguente antisemitismo che presenta un preoccupante risveglio in tutto il mondo.


Con questo lavoro non si ha alcuna intenzione di contrastare i principi della Religione cattolica (sarebbe assurdo, ancora prima che puerile), né a contrapporre la ragione alla fede degli altri. Anzi, per rendere proficuo il dialogo interreligioso in atto, si è convinti che conoscenze reciproche sempre più approfondite siano quanto mai opportune. Chi scrive considera l’analisi in argomento alla stregua di uno strumento idoneo ad offrire un minimo di contributo alla conoscenza di quella nefasta “credenza” che da secoli alimenta l’antisemitismo più retrivo, generato, cresciuto e alimentato da miti che la ragione rigetta, e dei quali è possibile dimostrare sia l’antistoricità sia la falsità.


Questo lavoro, a differenza dei tanti più autorevoli e documentati che lo hanno preceduto, intende affrontare l’argomento da un’ottica del tutto differente: invece di confutare quanto contenuto nei Vangeli [1], intende prendere proprio gli stessi a base delle successive analisi, per meglio mettere in risalto che proprio dalla loro attenta lettura può emergere la più “sonora smentita” alle tesi del deicidio. Il lavoro, sulla base esclusiva di quanto riportato da tali Sacre Scritture, si prefigge pertanto di confutare questa accusa sotto i seguenti punti di vista.


Infondatezza dell’accusa sotto il punto di vista storico.


Infondatezza dell’accusa sotto il profilo giuridico.


Infondatezza dell’accusa sotto l’aspetto teologico.


In ogni caso, questo scritto non nasce con lo spirito di rivalsa “contro” la Chiesa Cattolica. Anzi, l’obiettivo è quello di contribuire (pur nel suo piccolissimo) a facilitare il cammino “per” la comprensione tra le due religioni monoteistiche. Lo studio ha come obiettivo principale quello di poter essere di qualche utilità per coloro che ancora non hanno “accettato” del tutto la cancellazione dell’accusa per la morte di Gesù per mano degli Ebrei. Si auspica, invece, che costoro la possano condividere proprio attraverso la lettura delle loro stesse “Sacre Scritture”. Si rimedierà, in tal modo, alla falsa concezione di ancora buona parte della “base” dei credenti cristiani che tuttora considera la discolpa dalla tremenda accusa alla stregua di un’”elargizione benevola” concessa agli Ebrei da parte della Chiesa.


Appare consigliabile, allora, che queste stesse persone rileggano i Vangeli con animo sereno e sgombro da pregiudizi.


Si intende suddividere il lavoro in tre parti.


Nella prima si parlerà dell’antisemitismo, evidenziando i motivi per cui si ricollega la sua nascita ad una matrice cristiana. Le cause principali che hanno permesso a questo sentimento malvagio di crescere, sono le stesse per cui ci proponiamo l’elaborazione di questo lavoro: l’accusa di deicidio e della maledizione divina rivolte all’intero popolo ebraico. Farà seguito a questa analisi un’ampia rassegna delle iniziative promosse dalla Chiesa Cattolica in ordine al riconoscimento degli errori commessi nei confronti degli Ebrei (quelli evidenziati nel capitolo precedente) nonché delle azioni meritorie dalla stessa messe in atto, fino ad arrivare al pronunciamento dei “mea culpa” (della Chiesa Cattolica) da parte di Papa Giovanni Paolo II.


Nella seconda parte, quella che costituisce il nocciolo del saggio, si dimostrerà l’infondatezza dell’uccisione di Gesù come persona da parte degli Ebrei, nonchè l’inconsistenza dell’accusa di deicidio (una pura e semplice blasfemia). Lo si farà, esclusivamente, prendendo a riferimento i quattro Vangeli “canonici” [ 1].


Sulla base di quanto riportato dagli stessi Testi Sacri, emergerà che l’accusa di “deicidio” è da rigettarsi sotto il profilo storico, sotto quello giuridico, nonché sotto quello teologico.


La terza parte conterrà quegli “Approfondimenti” che si ritiene possano essere utili a lettori tanto cristiani quanto ebrei.


Si userà un linguaggio a tutti comprensibile, al fine di conferire al lavoro un taglio divulgativo, che possa essere utile a molti, e non solo a pochi interessati


Appare opportuna una sottolineatura preliminare.


Ogniqualvolta si citerà la Chiesa in senso negativo, si vorrà intendere le “persone” che, in nome della stessa, hanno operato in un passato neanche troppo lontano. Non si vuole fare, con tale dizione, alcun riferimento alla “Religione Cristiana” in quanto tale. Essa non va assolutamente confusa con la “Chiesa degli uomini” e, per ciò stesso, è degna del massimo rispetto.


Nella sostanza, questo lavoro ambisce ad essere:


Esaustivo e nello stesso tempo sintetico. Esaustivo, in quanto si intende prendere in considerazione tutte le sfaccettature della problematica in argomento. Sintetico, al fine di essere facilmente leggibile. Volutamente non si intende approfondire gli argomenti più dello strettamente necessario, rimandando un’eventuale analisi a testi specializzati.


Semplice ed immediato, con lo scopo di non annoiare il lettore. Non intende rivolgersi a studiosi dell’argomento, bensì a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono interessati alla tematica.


Utile, poiché la sua lettura dovrebbe essere di stimolo a riflettere ed argomentare. Si è del parere che solo tramite il confronto tra le persone possano scaturire punti di intesa, invece che divisioni. La “diversità” è una fonte di ricchezza per tutti.


lunedì 13 settembre 2021

Gesù, figlio della fede ebraica

 





Gesù, figlio della fede ebraica 

sta in

LA TRASMISSIONE DELLA FEDE AI FIGLI DALLE RADICI EBRAICHE ALLA CHIESA DOMESTICA


https://www.academia.edu/25175706/La_trasmissione_della_fede_ai_figli_Dalle_radici_ebraiche_alla_Chiesa_Domestica_Tesi_di_Baccalaureato


A tutti è noto che Gesù è stato un ebreo: chiunque legga il Vangelo può vedere come

appaiono chiaramente gli elementi dell’ebraicità di Gesù, che è presentato sin dalla nascita

fino all’inizio del suo ministero come un giovane ebreo. Possiamo dire che l’ebraicità di

Gesù è un dato di fatto palese, a partire del Nuovo Testamento. Basta andare a vedere la

relazione che Gesù ha avuto con la legge ebraica, come è stato circonciso all’ottavo giorno (nota 53)

presentato al tempio, formato all’osservanza della legge come qualsiasi altro ebreo vissuto

nel suo tempo.


«Non vi è alcun dubbio, tuttavia, che egli voglia sottomettersi alla legge (cfr. Gal 4,4), che sia

stato circonciso e presentato al tempio, come qualunque altro ebreo del suo tempo (cfr. Lc

2,21.22-24), e che sia stato formato all’osservanza della legge (cfr. Mt 5,17-20) e l’obbedienza

ad essa (cfr. Mt 8,4). Il ritmo della sua vita è scandito, sin dall’infanzia, dai pellegrinaggi in

occasione delle grandi feste (cfr. Lc 2,41-52; Gv 2,13; 7,10; ecc.). Si è rilevata spesso

l’importanza, nel Vangelo di Giovanni, del ciclo delle feste ebraiche (cfr. 2,13; 5,1; 7,2.10.37;

10,22; 12,1; 13,1; 18,28; 19,42; ecc.)»(nota 54)

.

«Ci sono delle pubblicazioni, dei testi anche scolastici, in ebraico, che parlano del Cristo come

di un ebreo perfetto, osservante della legge, tutto ligio alla tradizione e alla fedeltà alla Torà»(nota 55)


Di fatto Gesù, “il Galileo nato ebreo”, si è inserito nella genealogia ebraica, dentro la

storia, attraverso la quale era garantita la linea delle Promesse. Educato all’interno di una

famiglia ebraica, ha imparato a conoscere il “Dio dei Padri”, gli insegnamenti che venivano

tramandati ininterrottamente lungo i secoli di generazione in generazione.


«Quello che in tutti i Vangeli viene chiamato il Dio di Gesù, quello che Gesù chiama suo

padre, è senz’altro il Dio dei Suoi Padri […], non è un altro Dio, è il Dio di Israele. E questo

Dio s’impara a conoscere alla scuola di Abramo e alla scuola dei discendenti di Abramo,

all’interno di una tradizione vivente, cioè all’interno del popolo ebraico»(nota 56)

.

Nella sua infanzia Gesù ha vissuto sottomesso ai suoi genitori, in obbedienza nel

quotidiano della sua vita nascosta e ricevendo la fede da loro mentre faceva una vita come

facevano la maggioranza degli uomini del suo tempo.

«Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della stragrande

maggioranza degli uomini: un'esistenza quotidiana senza apparente grandezza, vita di lavoro

manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge di Dio [cfr. Gal 4,4], vita nella

comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è rivelato che Gesù era sottomesso ai suoi genitori

e che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52)»(nota 57) 

.

Gesù ha imparato le preghiere del suo popolo secondo quanto gli è stato trasmesso

all’interno della famiglia di Nazaret. La sua iniziazione alla preghiera ripercorre le stesse

tappe comuni ad ogni ebreo. Impara, anzitutto, dalla madre le prime formule – sicuramente

ha recitato lo Shema‘, almeno nei i suoi elementi essenziali –, in seguito, si inserisce

all’interno della sinagoga di Nazaret e, in un secondo momento, nel culto del tempio.

«Il Figlio di Dio diventato Figlio della Vergine ha anche imparato a pregare secondo il suo

cuore d'uomo. Egli apprende le formule di preghiera da sua Madre, che serbava e meditava nel

suo cuore tutte le “grandi cose” fatte dall'Onnipotente [cfr. Lc 1,49; 2,19; 2,51]. Egli prega

nelle parole e nei ritmi della preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio.

Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente ben più segreta, come lascia presagire già all'età

di dodici anni: “Io devo occuparmi delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). Qui comincia a

rivelarsi la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale, che il Padre

aspettava dai suoi figli, viene finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua

umanità, con e per gli uomini»(nota. 58)

«Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme il più

profondo rispetto. Vi è stato presentato da Giuseppe e Maria quaranta giorni dopo la nascita

[Lc 2,22-39]. All'età di dodici anni decide di rimanere nel Tempio, per ricordare ai suoi genitori

che egli deve occuparsi delle cose del Padre suo [cfr. Lc 2,46-49]. Vi è salito ogni anno, almeno

per la Pasqua, durante la sua vita nascosta [cfr. Lc 2,41]; lo stesso suo ministero pubblico è

stato ritmato dai suoi pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste ebraiche [cfr. Gv 2,13-

14; 5,1.14; 7,1.10.14; 8,2; 22-23]»(nota 59)

.

Una volta cresciuto, Gesù insegna nelle sinagoghe (cfr. Mt 4,23; 9,35; Lc 4,15-18; Gv

18,20; ecc.) e frequenta il tempio (cfr. Gv 18,20; ecc.), come facevano i suoi discepoli anche

dopo la risurrezione. Nella stessa maniera, si inserisce all’interno della liturgia domestica

della pasqua, dove istituisce l’eucaristia (nota 60). Mi sembra utile riportare il commento che M.

Remaud fa all’affermazione «Gesù è ebreo e lo è per sempre»(nota 61) che troviamo nei Sussidi:

«Gesù è ebreo e lo è per sempre. Fra tutte le affermazioni contenute nel testo, questa è forse

la più pregna di conseguenze... E una tale affermazione infatti a illuminare il fondamento della

relazione unica e originale che unisce la Chiesa al popolo di Israele... Per questo, il testo

afferma che Gesù è ebreo per sempre. Il che significa, in primo luogo, che Gesù non è un

convertito. Non ha mai abiurato al proprio giudaismo, mai negato in alcun modo né le proprie

origini né il proprio passato. Ma significa pure che Gesù risorto rimane ebreo. Lungi dal

cancellare ciò che è stato, la risurrezione lo glorifica e lo rende eterno... Così la Chiesa si trova

legata, per natura e per l’eternità, all’ebreo Gesù e, per mezzo suo, a tutto il suo popolo. Da un 

ebreo, in cui vede realizzar il progetto di Dio, riceve in permanenza la sua stessa vita. E dunque

nella medesima persona del Risorto che la Chiesa incontra il giudaismo» (nota 62) 

Gesù è quindi pienamente un ebreo palestinese del I secolo, nato “dalla stirpe di

Davide secondo la carne” (Rm 1,3). Egli è veramente “nato da donna” (Gal 4,4); egli è

veramente “nato sotto la legge” (Gal 4,4). Queste affermazioni di Paolo ci mostrano come,

il fatto che Gesù sia nato all’interno del popolo ebraico, non può rimanere in secondo piano

anzi, è essenziale per la fede cristiana essendo l’unico modo perché Gesù entrasse nella

Storia.

«Paolo non dice solo che è nato da donna, e che cioè ha un corpo come tutti gli altri uomini ed

è stato partorito come qualsiasi altro uomo da una donna. Paolo non limita l’umanità di Gesù

al fatto fisico, ma la estende anche a quello etnico e culturale: Gesù è nato dalla stirpe di

Davide e perciò fa parte di un popolo specifico e di una cultura specifica, quella ebraica. Ma

Paolo estende l’umanità di Gesù anche al fatto religioso: Gesù è “nato sotto la Legge”. Gesù

ha condiviso la religione ebraica del suo tempo vivendo in essa, sotto la Legge. Gesù non si è

ribellato alla Legge, ma l’ha adempiuta» (nota 63)

.

Oggi c’è una grande sensibilità e attenzione per cogliere questo “radicamento” e questa

“ebraicità” di Gesù64, anche in un livello più tecnico, nella esegesi, nella storia della

interpretazione del Nuovo Testamento. Infatti, sono stati realizzati diversi studi che tentano

di sottolineare l’ebraicità di Gesù cercando la sua posizione all’interno del giudaismo del

suo tempo.(nota 64) 

«Samuel Sandmel […] ammetteva che Gesù poteva essere visto come un maestro ebraico, un

ribelle all’autorità di Roma, un profeta, un pensatore apocalittico e un riformatore sociale […]

David Daube vide Gesù come totalmente ebreo ed affermò che il vero punto di conflitto tra la

chiesa e la Sinagoga fu l’identità messianica di Gesù, non la sua ebraicità. L’ebraicità di Gesù

è oggi particolarmente sottolineata da David Flusser il quale asserisce che Gesù e i suoi

discepoli furono più vicini al giudaismo farisaico che a quello qumramico […] Geza Vermes

ritiene che Gesù fu un hasid della Galilea […] sulla base delle testimonianze offerte dai primi

tre vangeli, Vermes ritiene che Gesù fosse un maestro carismatico, guaritore ed esorcista»6(nota 65)

Notiamo inoltre come Gesù usi spesso una tipica forma di ragionamento rabbinico

(cfr. Mt 5,21-22.27-28.31-48; Lc 6,27-35) mostrando come condivida alcune dottrine

farisaiche di quel tempo.

«Gesù condivide con la maggioranza degli ebrei palestinesi di quel tempo alcune dottrine

farisaiche: la risurrezione dei corpi; le forme di pietà: elemosina, preghiera, digiuno (cfr. Mt

6,1-18), e l’abitudine liturgica di rivolgersi a Dio come Padre; la priorità del comandamento

dell’amore di Dio e del prossimo (cfr. Mc 12,28-34). Lo stesso si può dire di Paolo (cfr. per

es., At 23,8), il quale ha sempre considerato come un titolo d’onore la sua appartenenza al

gruppo farisaico (cfr. At 23,6; 26,5; Fil 3,5)»(nota 66) 

L’incarnazione di Gesù all’interno del popolo ebraico è, come abbiamo detto prima,

fondamentale per il compimento della Storia della Salvezza: Egli si doveva necessariamente

incarnare in questa cultura per redimere gli uomini.

«L’ebraicità di Gesù […] sottolinea anche “il significato stesso della storia della salvezza”. Se

Gesù non avesse condiviso totalmente l’umanità degli uomini che era stato mandato a salvare

non si sarebbe potuta verificare la salvezza. Gesù “è nato sotto la Legge per riscattare coloro

che erano sotto la Legge”. E ciò che dice anche la Lettera agli Ebrei: Gesù doveva essere

“partecipe” della carne e del sangue degli uomini per poter “ridurre all’impotenza mediante la

morte colui che della morte ha il potere” (Eb 2,14); “egli infatti non si prende cura degli angeli, 

ma della stirpe di Abramo si prende cura» (2,16); egli “doveva rendersi in tutto simile ai

fratelli…, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (2,17). Anche per la Lettera agli Ebrei

Gesù, per redimere gli ebrei deve essere un vero uomo ebreo. Ecco perché l’ebraicità di Gesù

sottolinea sia la realtà dell’incarnazione che il significato della storia della salvezza»(nota 67) 

.



 NOTE 


53 «La circoncisione di Gesù, otto giorni dopo la nascita, [cfr. Lc 2,21] è segno del suo inserimento nella discendenza di Abramo, nel popolo dell'Alleanza, della sua sottomissione alla Legge, [cfr. Gal 4,4] della sua abilitazione al culto d'Israele al quale parteciperà durante tutta la vita. Questo segno è prefigurazione della “circoncisione di Cristo” che è il Battesimo [cfr. Col 2,11-13]» (CCC 527, p. 157). 

54Sussidi, III,2: EV 9/1637. 

55 G. SORANI , Le radici ebraiche del cristianesimo, “Amicizia Ebraico-Cristiana”, 1990 (XXV), n. 1-2, p. 6. Cfr. anche CCC 577, p. 172.


56 G. SORANI , Le radici ebraiche del cristianesimo, “Amicizia Ebraico-Cristiana”, 1990 (XXV), n. 1-2, p. 6. 

57 CCC 531, p. 158.


58 CCC, 2599, p. 683. 

59 Ibidem, 583, p. 174. 

60 Cfr. Sussidi, III,2: EV 9/1638. 

61 Il testo inglese legge invece: “Jesus was and always remained a Jew” (INTERNATIONAL CATHOLIC-JEWISH LIASON COMMITTEE, Fifteen Years of Dialoghe, 1970-1985. Selected Papers, L.E.V. Pontificia Università Laterananse, Città del Vaticano 1988). Anche il testo francese legge: “Jésus était juif et l’est toujours resté” (SIDIC, Service International de Documentation Judéo-Chrétienne, edizione francese e inglese, 1986 (XIX), n. 2, p. 15). Tedesco: “und ist es immer geblieben” (R. RENDTORFF-H. H. HENRIX, Die Kirken und das Judentum. Dokumente von 1945 bis 1985, Bonifatius-Kaiser Verlag, Paderborn-München 19892 )


62 M. REMAUD, Commento ai Sussidi, in SIDIC (a cura di), “Parlare correttamente degli Ebrei e dell’Ebraismo. Testo e commento dei Sussidi della Santa Sede del 1985 indirizzati ai predicatori e catechisti”, SIDIC, Roma 1986, pp. 16-22. 

63 M. PESCE, Il cristianesimo e la sua radice ebraica. Con una raccolta di testi sul dialogo ebraico-cristiano, EDB, Bologna 1994, p. 94.

 64 «R. Bultmann, per esempio, nel suo Cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche, ha inserito la figura di Gesù non nel cristianesimo, ma nel giudaismo» (G. JOSSA, Giudei o cristiani? I seguaci di Gesù in cerca di una propria identità, Paideia, Brescia 2004, p. 33).


5 H. G. PERELMUTER, Gesù l’ebreo: un punto di vista ebraico, “Amicizia Ebraico-Cristiana”, 1994 (XXIX),

n. 1-2, p. 32.

66 Sussidi, III,6: EV 9/1641.

67 M. PESCE, Il cristianesimo e la sua radice ebraica…, op. cit., pp. 94-95







mercoledì 28 luglio 2021

*Il suo nome brillava*. (Grazie all'amico Stefano Grandesso)


Cinque ebrei hassidim investiti da un'auto a New York. La polizia sospetta  un'aggressione | Mosaico



*Il suo nome brillava*
Un gruppo di Hassidim stava viaggiando da Cracovia al loro Rebbe, il "Hoze, il veggente" di Lublino.
Quando arrivarono, dopo un viaggio di diversi giorni, il cocchiere nella carozza chiese se potevano essere così gentili da portare il suo biglietto al Rebbe, tra gli altri biglietti che avevano portato con loro dalla gente di Cracovia. Hanno felicemente accettato.
Quando hanno consegnato tutti gli appunti, il Rebbe ha iniziato a leggerli, quando all'improvviso ne ha preso uno e ha detto: "Wow! Chi ha scritto questa nota? Il suo nome luccica e risplende!”.
Spiegarono che proveniva dal conducente della carrozza, e il Rebbe disse: "C'è qualcosa di speciale in quest'uomo".
Dopo l'udienza con il Rebbe, i Hassidim decisero di trovare il conducente del carro e capire cosa avesse di così speciale.
Andarono alla locanda e trovarono la sua carrozza e i suoi cavalli, ma non il cocchiere.
Si misero in giro per la città a cercarlo, finché non raggiunsero un mercato all'aperto, ed eccolo lì, che ballava e cantava.
"Qual è l'occasione di tanta gioia?" hanno chiesto, e ha spiegato che questo era un matrimonio di due orfani.
Hanno chiesto la sua connessione alla celebrazione, e ha spiegato: “Dopo che siete partiti per andare dal Rebbe, mi sono occupato della manutenzione dela carrozza, ho dato da mangiare ai cavalli e ho girato per la città per vedere cosa stava succedendo.
Mi sono imbattuto nel mercato e ho visto persone che cantavano e si divertivano. Ho chiesto dell'occasione e mi è stato detto che stava per iniziare un matrimonio tra due orfani.
“Poi, ho percepito suoni di discorsi infelici. "Oh", mi hanno detto, "ci sono alcuni sentimenti contrastanti qui.
Le persone che hanno organizzato il matrimonio hanno detto allo sposo che la sposa gli avrebbe fornito un "tallit, lo scialle di preghiera".
Sfortunatamente, questo non ha funzionato, poiché sono entrambi molto poveri.'
"Cosa ho fatto?" disse il cocchiere. “Mi sono fatto largo rapidamente tra la folla e, quando ho raggiunto la sposa, ho tirato fuori il denaro che avevo con me, gliel'ho dato e ho detto: 'Ecco, con questo denaro comprerai al tuo sposo un tallit . Offro io. Nessun problema.'
“Dopo di che, il matrimonio è andato avanti senza intoppi. Ed è per questo che sto cantando e ballando in questo momento", ha concluso l'autista della carrozza.
"Potrei non avere molti soldi in tasca da mostrare per questo viaggio, ma sono contento di sapere che una "nuova casa ebraica sarà stabilita nella gioia e nella pace".
A quel punto, era chiaro ai Hassidim perché il nome del conducente della carrozza brillava così.
Era perché si era affrettato nel organizzarsi subito e donare alla sposa la sua parte, quando gli si era presentata l'occasione per compiere una mitzvah.
Come possiamo essere alla ricerca di "piccole" mitzvot che faranno una grande differenza? Sfruttiamo bene ogni opportunità che si presenta?
*Di Hillel Baron*
A cura di -Simhah- Simy Elmaleh Naar Israel Milano Habad House nel Castello.

lunedì 26 luglio 2021

Il 26 luglio 1555 veniva istituito il Ghetto di Roma-


"«Poiché è oltremodo assurdo e disdicevole che gli ebrei, che sono condannati per propria colpa alla schiavitù eterna (…) Noi, avendo appreso che nella nostra alma Urbe e in altre città, paesi e terre sottoposti alla Sacra Romana Chiesa, l’insolenza di questi ebrei è giunta a tal punto che si arrogano non solo di vivere in mezzo ai cristiani, ma anche in prossimità delle chiese senza alcuna distinzione nel vestire (…) assumono balie, donne di casa e altra servitù cristiana…».(12 luglio del 1555 il papa Paolo IV Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum )


Paolo IV, ovvero Gian Piero Carafa, era stato responsabile dell’Inquisizione romana, e l’odio che mostrava per gli ebrei aveva origine teologica. La sua convinzione era che gli ebrei dovessero essere puniti perché responsabili della morte del Cristo, e che quindi certe misure fossero non solo necessarie, ma gradite al Signore.


https://www.romatoday.it/eventi/alla-scoperta-della-piu-antica-comunita-ebraica-d-europa-il-ghetto-di-roma-2922394.html


https://www.huffingtonpost.it/entry/il-26-luglio-1555-veniva-istituito-il-ghetto-di-roma_it_60fe7448e4b05ff8cfca3104?utm_hp_ref=it-homepage





domenica 25 luglio 2021

ASCOLTA. ISRAELE

 

CON UN GRANDE GRAZIE ALL'AMICO STEFANO GRANDESSO 


Shemà Israel – Ascolta Israele | Lode a Te Gesù


*Ascolta, Israele Ascolta O Israele, D-o è il nostro D-o, D-o è Uno.*
"Ascoltare" significa capire. Meditare profondamente. "Israele" è il nome della tua anima, il respiro di D-o dentro di te. Quindi, il nome di quattro lettere di D-o.
*Qual è quel nome* ?
È una combinazione delle tre forme del verbo "essere" - così che significa "è, era, sarà" tutto in un singolo momento, trascendendo completamente il tempo - ma fornendo esistenza al tempo e tutto ciò che accade in esso.
Poi, un altro nome di D-o, un nome che si riferisce al Suo potere sul cielo e sulla terra, come si trova nelle forze della natura. Ma nella forma possessiva: "il nostro potere".
E poi torniamo al nome di quattro lettere, questa volta perché questo nome è dentro di te. Perché la tua anima e D-o si fondono come Uno.
Devi dire alla tua anima: Ascolta, anima mia, e medita su questo: Il tuo potere viene da "Beyond Time, oltre il tempo".
Tu, anima mia, ti unisci a D-o come Uno.
Dalla saggezza del Lubavitcher Rebbe Rabbi Menahem Mendel Schneerson M.H.M.
*parole condensate di Rabbi Tzvi Freeman*
A cura di Simhah Simy Elmaleh Naar Israel Milano Habad House nel Castello.
Shavuâ Tov!!

sabato 29 maggio 2021

L’antisemitismo, dove nasce il veleno dell’odio






L’antisemitismo, dove nasce il veleno dell’odio

Denunciare l’antisemitismo, oggi, appare una fatica pleonastica. Difficile trovare qualcuno che non sia d’accordo nel ritenere l’odio nei confronti degli ebrei un sentimento che appartiene ai momenti più bui della Storia. Eppure ci troviamo, in questi difficili giorni, di fronte a un aumento esponenziale degli episodi che è davvero faticoso definire in altro modo. L’Europa, gli Stati Uniti sono teatro di pestaggi di uomini identificati come ebrei dai loro indumenti, insulti gridati davanti a sinagoghe e centri culturali ebraici, svastiche riprodotte sui muri nei quartieri abitati prevalentemente da ebrei.

Sui social questa campagna aggressiva raggiunge livelli sconcertanti. Per fare solo un esempio: la frase «Hitler doveva finire il lavoro», in varie declinazioni, è comparsa di recente in 17 mila messaggi su Twitter. La ragione di tutto questo? Il conflitto tra Hamas e Israele, ennesimo confronto in un Medio Oriente dove la pace appare in fuga ogni volta che sembra a portata di mano. Ora, senza entrare nelle ragioni di una guerra che prosegue da oltre un secolo né proclamare che Israele — o meglio il suo governo — sia esente da critiche, dobbiamo però chiederci perché ogni volta che la parola, in quel difficilissimo contesto, passa alle armi, nel mondo si crei uno tsunami di invettive (e azioni) contro Israele e gli ebrei.

E non sono solo le frange islamiste il motore di tutto questo: larga parte della politica e anche dell’opinione pubblica, non importa in quale Paese, rilancia regolarmente il veleno. Dunque: cos’è l’antisemitismo? Come distinguerlo da una legittima critica dello Stato ebraico? La risposta è semplice. È antisemitismo qualunque affermazione che, partendo dall’irrisolta questione palestinese, nega agli ebrei — e solo a loro — il diritto a vivere come una nazione indipendente. Così come il pugno scagliato contro un ebreo incontrato per caso a diecimila chilometri da Tel Aviv o Gerusalemme.



martedì 18 maggio 2021

L’ebreo Gesù e lo shabbat. Una lettura del Vangelo alla luce della Torah






PREMESSA 

si può scaricare senza oneri 



Prefazione del Gran Rabbino René-Samuel Sirat

Il servo   allora le corse incontro e le disse:
"Fammi bere un po' d'acqua dalla tua anfora".
Rispose: "Bevi, mio Signore" ...
Come ebbe finito di dargli da bere, disse:
"Voglio attingere ancora ... "
Intanto quell'uomo la contemplava
in silenzio, in attesa di sapere se Dio avesse o no   accordato buon esito al suo viaggio ...
Gen 24, 17-21.

Un rabbino, di fronte a questo bel libro, L’ebreo Gesù e lo shabbat. di Marie Vidal  resta  silenzioso ,meravigliato come il servo dell'amico di Dio Abramo: è in presenza della figlia di Betuèl,
l'Arameo, o in presenza della nipote di Abramo, suo padrone?

Ebbene, quale figlia di Israele è oggi capace di scrivere un canto
d'amore così bello in onore dello Shabbat, di comprenderne l'infinita grandezza e di sentire da tutte le fibre del proprio essere il
legame indistruttibile che, nell'animo di un ebreo, unisce lo Shabbat
e la Torah?
· Per tutto ciò, per questi tesori di conoscenze e di erudizione,
per questa empatia per un argomento così esaltante, grazie.
· Il carattere singolare dello Shabbat è messo in luce dal Midrash
citato dall'autrice a pagina 89.
Quaggiù regna la dualità: non una dualità fatta di cloni, ma
realizzata in una diversità sublimata che tende verso l'unità. Infatti, nel Midrash, lo Shabbat, contrariamente agli altri giorni della settimana, non ha  un compagno: la domenica è unita al mercoledì, il lunedì al giovedì, il martedì al venerdì, ma lo Shabbat è solo.
Non ha un compagno degno di lui. Allora, per evitare che il giorno della gioia infinita (Sal 92) sia oscurato dalla tristezza, Dio dice
allo Shabbat: "La comunità di Israele sarà il tuo compagno".
Ma la comunità d'Israele è già unita dai legami dell'amore a
Dio da una parte, e alla Torah di Dio dall'altra: la Torah che Mosè
ci ha insegnato è l'eredità della comunità di Giacobbe (Dt 33, 4).
I rabbini, giocando sulle due possibili letture della parola morasha
(eredità) e meorassa (fidanzata), propongono la seguente interpretazione: La Torah che Mosè ci ha insegnato è la fidanzata perpetua della comunità di Giacobbe.
Questo amore per Dio, che si riversa sulla Torah insegnata da
Mosè e che è la parola del Dio vivente, e sullo Shabbat, compagno privilegiato della comunità di Israele reca in sè il segno della pienezza: durante lo Shabbat, l'ebreo beneficia di un supplemento d'anima  d'anima. La sua anima e la  sua  "anima suppiementare" sono
legate alla Torah e allo Shabbat, e non è sorprendente che il giorno
dello Shabbat l'ebreo si consacri essenzialmente alla preghiera,
momento privilegiato di dialogo con il suo Creatore, allo studio e
all'insegnamento della Torah.
È . ciò che Gesù, ebreo tra i suoi fratelli, faceva regolarmente
in Galilea e poi a Gerusalemme. Malgrado i preconcetti degli evangelisti, questo tratto caratteristico della personalità di Gesù ritorna nei Vangeli come un leitmotiv.

Marie Vidal ha. ragione , di sottolineare i racconti degli Apostoli
che cominciano così: "lo Shabbat, Gesù insegnò nella sinagoga . .."
L'autrice distingue anche giustamente la lettura del testo del Pentateuco e del testo dei Profeti anche se non è certo  che all'epoca di Gesù la divisione del Pentateuco che conosciamo oggi,  in cinquantacinque periodi, fosse già messa in pratica. L'attualizzazione del testo biblico, tanto quello della Legge, quanto la lettura  complementare dei Profeti, è una tradizione che si perpetua fino
ai giorni nostri e che risale al tempo dei rabbini della Grande Assemblea, molto prima della nascita di Gesù.

prima della nascita di Gesù.
A proposito del versetto della Genesi (2, 22): Dio plasmò con
la costola, che aveva tolto all'uomo, una donna . .. , il Midrash, ispirandosi all'ambivalenza del verbo vayiben (dalla radice BaNaH,
plasmare e B Y N, comprendere), sviluppa l'idea che la donna è
dotata di un discernimento superiore a quello dell'uomo, a proposito del quale è impiegato il verbo BaRaH, creare. Questa è la 
ragione per cui la donna ebrea è la sacerdotessa dello Shabbat. È
lei che fa accendere le luci che segnano l'ingresso dello Shabbat
nella casa, in seno alla famiglia.

Considerando l'importante numero di opere cristiane che si ispirano ai fondamentali insegnamenti dei rabbini e che concernono
l'autentica vita ebraica come la insegna la Torah e come è praticata- o dovrebbe esserlo- dal popolo che è il gioiello dell'umanità (Es 19, 5), si può legittimamente porre il problema dell'imminenza della realizzazione della profezia di Zaccaria: Dice il Signore degli eserciti: In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno  un giudeo per il lembo del mantello  diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che
Dio· è con voi (Zc 8, 23). Naturalmente, dicendo questo bisogna 
Insistere sull’idea  cheil  giudaismo è fondamentalmente opposto
al sincretismo e ad ogni volontà di proselitismo.

Dopo il suo bel libro Un Ebreo chiamato Gesù, Marie Vidal persevera nel suo magnifico progetto di   far  meglio conoscere la tradizione ebraica ai suoi fratelli cristiani. La ringrazio vivamente, secondo la formula biblica: Hizqi ve'imtsi, siate forte e piena di coraggio.



domenica 16 maggio 2021

Cosa sarebbe l’ebreo senza libro”


Il popolo ebraico è il popolo del Libro – e dei libri. La sua sopravvivenza, nella storia, è legata alla parola in cui ha trovato ogni volta rifugio. La sua capacità è stata quella di cercare l’infinito nello spazio tra le parole, in quel che resta ancora da leggere nel Libro di D-o, in quel che resta ancora da scrivere nel libro dell’uomo. La storia del popolo ebraico è saldata al libro infinito delle sue interrogazioni.
Primo lettore di D-o, l’ebreo ha trovato nell’amore per il Libro il suo orientamento e ha tradotto, parola per parola, nei suoi libri, le strade della sua erranza. Interprete incondizionato e testimone morale del Libro, che cosa sarebbe l’ebreo senza libro?

Donatella Di Cesare, filosofa


https://moked.it/blog/2010/04/19/cosa-sarebbe-lebreo-senza-libro/



giovedì 13 maggio 2021

L’ebraismo inteso soprattutto come "modo di vita" Capitolo Primo


Dal diritto all’uguaglianza al diritto alla diversità: l’intesa delle comunità israelitiche

Antonio Zappino

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

 

Relatore: Rinaldo Bertolino

2000


https://www.morasha.it/tesi/zppn/index.html


(1) ....l’ebraismo sfugge ad ogni tentativo di definizione sintetica così come a qualsiasi classificazione entro la cornice rassicurante di precisi istituti, ponendosi piuttosto come la risultante di diverse componenti, che sono inscindibili l’una dall’altra senza snaturare l’essenza del fenomeno complessivamente considerato: ebraismo, popolo ebraico ed ebrei sono i tre termini di riferimento del problema, fra di loro non opposti ma non per questo esattamente coincidenti1).


L’ebraismo, infatti, non può essere semplicemente e riduttivamente identificato come un mero corpus di dottrine e di norme costituenti una religione nel senso in cui questo termine viene comunemente inteso2), ma neppure, del resto, soltanto con la globalità delle vicende storiche e culturali di un determinato popolo, né esclusivamente con la miriade multiforme di vicissitudini e di identità individuali proprie di ogni singolo ebreo3): queste schematizzazioni, purtroppo, hanno già ampiamente dimostrato la loro perniciosità dando origine, nelle varie epoche storiche, a definizioni della realtà ebraica che sono state incentrate via via sulla contrapposizione ad una sola delle sue costituenti principali, come, per esempio, ha fatto l’antigiudaismo quando ha visto l’ebraismo come un semplice insieme di dottrine e precetti puramente religiosi ormai contraddetti da una nuova rivelazione; quando l’antisemitismo ha incentrato l’identificazione dell’ebreo sulla base dell’elemento specificamente etnico e razziale, o quando l’antisionismo ha contestato alla collettività ebraica il diritto ad avere una propria manifestazione di carattere politico e statuale4).


L’approccio a tale particolare e ricchissima realtà dovrà allora partire da una visione d’insieme del fenomeno e rinunciare alla sinteticità della definizione, presentandosi l’ebraismo come una inobliterabile simbiosi "di cultura e di religione, di tradizione e di norme di comportamento, di popolo e di storia"5), caratterizzata da una partecipazione contemporanea di momenti religiosi e culturali, di "commistione tra ethnos e dimensione cultuale, che deriva dalla tradizionale identità tra norma civile e norma religiosa"6), e in cui l’aspetto strettamente religioso, proprio in quanto sfaccettatura di una vasta e composita realtà sociale ed istituzionale che si presenta assai più articolata7), non può essere considerato isolatamente dagli altri caratteri, anche se, storicamente, proprio questa componente ha ricoperto un ruolo di primaria importanza nel processo che ha portato alla costituzione prima ed al mantenimento poi di una identità ebraica8).


È così che l’ebreo impronta la propria esistenza a ciò che è molto più di una religione nella communis opinio, vero e proprio modus vivendi che impegna l’individuo in ogni momento della sua esistenza, in modo tale che non esiste nessun aspetto della vita che rimanga fuori della sfera e dell’influenza dell’ebraismo9), attraverso l’obbedienza ad un "vasto complesso di norme, volte a indirizzare la vita quotidiana dell’ebreo in tutte le sue manifestazioni, che va dai Dieci Comandamenti alla Toràh, che contiene la legge scritta, dal Talmud, che raccoglie le tradizioni e le leggi orali, alle numerose regole sulla vita matrimoniale, la proprietà fondiaria, i cibi proibiti, il riposo sabbatico"10); un sistema in cui "i concetti di "religione" e di "fede" non sono quelli più caratterizzanti, anche se difficile riesce a comprendere a chi si accosti al mondo ebraico quali ne siano i tratti più visibilmente "identificanti""11), estraneo alla "istituzionalizzazione delle credenze e dei riti" ed alla "professione di una dottrina di cui è depositario un magistero sovraordinato ai fedeli", ma fondato piuttosto "sulla credenza del Dio unico, e su una condotta di vita quotidiana ispirata ai precetti fondamentali di morale, di santità, di giustizia e solidarietà"12), e sulla "osservanza di determinate norme", invece che sulla "accettazione di una data teologia"13). Nella sostanza, un complesso di norme di comportamento, destinate ad un autentico corpo sociale, comprendente le proprie regole di organizzazione ed il proprio diritto: ed infatti, per un ebreo, la stessa nozione di libertà religiosa comporta la libertà di aderire non tanto ad una fede, quanto piuttosto ad una vera e propria legge14), intesa come regola e direttrice della propria condotta15).


Non stupisce, quindi, che l’intera tradizione giudaica ami citare ripetutamente il versetto che descrive il modo in cui il popolo, al Sinai, accolse l’offerta di alleanza con Dio proposta al popolo ebraico per il tramite di Mosè: "Tutto quanto il Signore ha detto faremo e ascolteremo"16).


Date queste premesse, emerge chiaramente la preminenza assoluta, nella "religione" ebraica, del momento sociale e collettivo-partecipativo alla vita comunitaria su quello più individuale e soggettivo, non essendo concepibile professare una tale religione a livello puramente intimistico e personale17). Proprio per questo motivo, sin dall’epoca romana gli ebrei in Italia si sono organizzati in comunità, enti territoriali autosufficienti, ed uniche formazioni sociali in grado di poter realizzare e sviluppare appieno la complessa identità religiosa, etnica e culturale dell’ebraismo, così che all’interno di esse, accanto alle attività a specifico contenuto religioso e cultuale, è normale rintracciare diverse funzioni pertinenti ad aspetti segnatamente culturali, educativi ed assistenziali18), sostanzialmente assimilabili a quelle dell’apparato dello Stato, il quale, coerentemente, nell’intesa stipulata nel 1987 ha riconosciuto all’ebraismo il carattere di confessione religiosa sui generis, ammettendo espressamente la competenza delle comunità ebraiche anche in relazione al perseguimento di finalità che - secondo i princìpi propri degli ordinamenti statali - sono da considerarsi come temporali, proprio in conseguenza della caratterizzazione dell’ebraismo come incarnazione di una collettività allo stesso tempo etnica, culturale e religiosa.


Non si deve pensare, però, che l’estrema importanza che viene in questo modo ad essere tributata alla vita comunitaria possa comportare una sorta di "azzeramento" delle singole personalità, e quindi delle possibili voci dissenzienti - che nondimeno devono esserci, in quanto ogni collettività è pur sempre la risultante di una pluralità di individui, le cui istanze possono convergere così come possono, talvolta, divergere su questioni anche non marginali -, all’interno di ogni comunità, come conseguenza dell’adesione ad un malinteso principio secondo cui la maggioranza è sovrana: infatti, le singole comunità, lungi dal fagocitare le esigenze ed i bisogni individuali dei propri membri, sono piuttosto deputate al compendio ma anche alla massima realizzazione delle molteplici istanze e bisogni dei loro appartenenti. Sintomatico è il fatto che, nel periodo che va dall’inizio degli anni Sessanta alla prima metà degli anni Settanta, quando l’obiettivo dell’adozione dello strumento dell’intesa era, per le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ancora ben lontano dal conseguire piena realizzazione, nei vari Congressi ordinari e straordinari dell’ebraismo italiano indetti per sopperire in qualche modo - nell’inerzia della controparte statuale - alle esigenze di svecchiamento e di adeguamento dell’ordinamento ebraico alle nuove e mutate esigenze dei suoi membri, l’accento venne posto proprio sulla necessità di conseguire una maggiore democraticità e rappresentatività all’interno delle comunità di base, come presupposto per il mantenimento, la promozione e lo sviluppo dell’effettività di quel legame reciproco che lega il singolo alla comunità di appartenenza, e la valorizzazione delle istanze dei gruppi di minoranza19)


  1. Cfr. P. Stefani, Introduzione all’ebraismo, Brescia, 1995, p. 11.
  2. Sull’oggettiva difficoltà di definire la natura religiosa dell’ebraismo, v. G. Filoramo, Prefazione, in Aa. Vv., Ebraismo, a cura di G. Filoramo, Roma-Bari, 1999, p. VII: "inteso come la religione degli ebrei, in effetti, esso si configura come una mescolanza originale di etnicità e religione. Mentre l’appartenenza ebraica, tradizionalmente coincidente con il fatto di nascere da madre ebrea, ricorda il volto etnico dell’ebraismo, la possibilità di aderirvi compiendo determinati riti d’ingresso ricorda il suo volto religioso, affidato alla libera scelta del singolo".
  3. Cfr. P Stefani, Gli ebrei, cit., pp. 10 s.
  4. Cfr., al riguardo, ancora P. Stefani, Introduzione all’ebraismo, cit., pp. 12 s.
  5. Così G. Disegni, Ebraismo e libertà religiosa in Italia, cit., p. 81.
  6. R. Botta, L’attuazione dei princìpi costituzionali e la condizione giuridica degli ebrei in Italia, cit., p. 163.
  7. Cfr. D. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato al congresso straordinario dell’Unione delle comunità israelitiche italiane, cit., p. XVII.
  8. Cfr. P Stefani, Gli ebrei, cit., p. 14.
  9. Cfr. D. Tedeschi, Presentazione della intesa con lo Stato, cit., p. XVII.
  10. Così G. Disegni, Ebraismo e libertà religiosa in Italia, cit., p. 81.
  11. G. Disegni, Ebraismo e libertà religiosa in Italia, cit., p. 81.
  12. Il pensiero espresso, insieme ai due precedenti, viene così formulato da G. Sacerdoti, Ebraismo e Costituzione: prospettive di intesa tra comunità israelitiche e Stato, in Aa. Vv., Le intese tra Stato e confessioni religiose. Problemi e prospettive, a cura di C. Mirabelli, Milano, 1978, p. 86.
  13. Così R. Bertolino, Ebraismo italiano e l’intesa con lo Stato, cit., p. 560.
  14. Nell’opinione registrata nel capitolo V,21 del trattato Pirqè Avòt, del quarto ordine della Mishnàh, si legge infatti: "volgi la legge e rivolgila, tutto è in essa. Invecchia e logorati in essa, ma non allontanartene, perché non c’è regola di condotta migliore". Cfr. F. Manns, Leggere la Mishnàh, Brescia, 1984, p. 201.
  15. Cfr. R. Bertolino, Ebraismo italiano e l’intesa con lo Stato, cit., p. 560.
  16. Esodo, 24,7. Cfr. P. Stefani, Gli ebrei, cit., p. 28, che precisa che "non è affatto errato sostenere che, nell’ebraismo, la messa in pratica dei precetti e la determinazione della regole che presiedono alla loro esecuzione rappresentino la forma principale di esegesi biblica", tanto che si è più volte sostenuto la religione ebraica consistere, più che in una "ortodossia" (retta dottrina), piuttosto in una "ortoprassi" (retto modo di agire). Cfr. anche R. Bertolino, Ebraismo italiano e l’intesa con lo Stato, cit., p. 560, e G. Fubini, Le costanti della cultura ebraica (ovvero, una visione dell’ebraismo), in RMI, 1993/1-2, p. VIII.
  17. Cfr., al riguardo, M. F. Maternini Zotta, L’ente comunitario ebraico. La legislazione negli ultimi due secoli, Milano, 1983, p. 191.
  18. Cfr. V. Pedani, Note sul ruolo dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, in DE, 1998, II, p. 418.
  19. Cfr., al riguardo, G. Fubini, La condizione giuridica dell’ebraismo italiano, cit., p. 133.




mercoledì 12 maggio 2021

Confessioni di un Cristiano Ribelle Matthew Fox. "Gesù, il quale in fin dei conti era un ebreo.”



"Ricordo il giorno in cui le mie studentesse, quasi tutte cristiane, stavano discutendo il peccato originale. Alla lezione successiva una studentessa ebrea venne da me e mi chiese: «Che cos’è questo peccato originale di cui stavamo discutendo la volta scorsa?». «Certamente lei conosce il peccato originale, se ne parla nel libro della Genesi», risposi. «No», disse. «Sono un’ebrea praticante da quarantuno anni e non ho mai sentito un rabbino o qualcun altro parlare del peccato originale.» Questa cosa mi aprì gli occhi. La distinzione tra la caduta e il peccato originale rese più acuta la mia consapevolezza di quanto il cristianesimo si era allontanato dalle sue radici ebraiche. Questa studentessa aveva studiato per anni con il rabbino Abraham Joshua Heschel e mi fece conoscere le sue opere.


Fu un dono enorme, e poco alla volta imparai ad amare la sua persona, la sua teologia e la sua testimonianza (era andato a marciare con Martin Luther King a Selma, per esempio). Heschel è stato un leader del dialogo tra ebrei e cristiani. Più passano gli anni e più mi piace tornare alla sua spiritualità dello stupore, della meraviglia, della grazia e della profezia, davvero una spiritualità incentrata sul creato. Se mi trovassi su un’isola deserta e mi fosse permesso di leggere soltanto un teologo, questo sarebbe Heschel. Certe volte quando lo leggo mi sembra di sentire le parole di coloro che furono i mentori di Gesù, il quale in fin dei conti era un ebreo.”

http://www.spiritualitadelcreato.it/confessioni-di-un-cristiano-ribelle/


sabato 8 maggio 2021

MOEDIM E LE PREGHIERE EBRAICHE DI GESÙ QUALE MODELLO DELLA LITURGIA DELLE ORE A d r ia n a M it e s c u




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INCIPIT 

Vi è ormai una nutrita bibliografìa concernente la continuità, il legame e la necessità della conoscenza reciproca tra la

preghiera ebraica e quella cristiana, malgrado le opinioni contradditorie degli autori, in quanto spesso inseriscono le proprie presupposizioni nelle fonti storiche di cui trattano. Personalmente preferiamo muoverci nei limiti delle informazioni

ricavate dalle fonti testuali ebraiche: il Pentateuco, la M ishnah,

i frammenti manoscritti della Genizà del Cairo, e cristiane: i

vangeli, gli Atti degli apostoli, le epistole paoline, le stesure latina, greca e sahidica della Didascalia apostolica, la Didaché, la

Haggadah dei cristiani quartodecimani, in particolare Perì Pàscha di Melitone di Sardi, i testi apologetici cristiani, Breviari latini e Mega Horologion, ecc. Il nostro campo analitico

riguarda la liturgia comparata sinagogale e cristiana col riferimento particolare all’ora canonica, per cui il metodo utilizzato

si fonda sull'analisi testuale del significato dei salmi, secondo

l'occasione e il momento in cui vengono recitati, se si tra tta di

feste ebraiche, eb. moedim , o della liturgia delle ore

feriale/festiva latina e bizantina. In effetti, la pratica orante di

Gesù, non solo conferma l’uso della preghiera ebraica ma,

direi, ne risulta, perfino, rafforzata a giudicare dal desiderio

dei discepoli di imparare a pregare dopo che udirono la preghiera con cui il loro Maestro si rivolgeva a Dio Padre. Indubbiamente costoro dovevano essere particolarmente colpiti se

dissero: "Signore, insegnaci a pregare, com e anche Giovanni insegnò ai suoi discepoli”


per altri  studi dell'autrice

https://dialnet.unirioja.es/servlet/autor?codigo=3862394