
La

comunità ebraica tripolina tra la Libia e Roma
Stefano Tironi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI CA’ FOSCARI DI VENEZIA – Facoltà di lingue e letterature straniere – Corso di Laurea in lingue e letterature orientali- Relatore: Emanuela Trevisan Semi – Correlatore: Angelo Scarabel – Anno Accademico 2001-2002
- Capitolo 1: Profilo della comunità in Libia
- Capitolo 2: La comunità in Libia. Usi e costumi
- Capitolo 3: La comunità a Roma
- Conclusioni – Appendice – Bibliografia – Ringraziamenti
- https://morasha.it/la-comunita-ebraica-tripolina-tra-la-libia-e-roma/
“il governatore della Libia, Italo Balbo, diede ordine agli ebrei di aprire le loro attività commerciali anche il sabato e stabilì che era la domenica il giorno festivo per tutta la popolazione. Abitualmente gli ebrei non lavoravano il sabato perché erano molto religiosi, naturalmente nessun ebreo si sentì di aprire la sua bottega nonostante l’ordine del governo. La domenica successiva tutta la polizia ed i carabinieri si mobilitarono per arrestare i trasgressori. Nella lista degli arrestati figuravano anche mio padre e mio fratello L. non era sufficiente il loro arresto e per dare risalto a questa infrazione della legge Italo Balbo ordinò la fustigazione di una decina di commercianti. Così la fustigazione fu presentata alla popolazione: si trattò di un macabro scenario; automobili con altoparlanti giravano incessantemente per la città pubblicizzando questa orribile azione nei confronti dei dieci commercianti ebrei che avevano osato disubbidire ad un ordine del Governo Italiano. In famiglia eravamo molto preoccupati, ma loro comunque non furono toccati in quanto cittadini francesi. I dieci ebrei che vennero scelti erano libici e, quindi, nessuno poté proteggerli.”
"la fustigazione era stata fissata per il giorno successivo, nelle prime ore del pomeriggio, vicino al ghetto ebraico. Volli andare ad assistere a quell’orribile spettacolo: il piazzale era gremito di gente fino all’inverosimile. In mezzo alla piazza alcuni genieri dell’esercito avevano eretto un palco abbastanza alto proprio per dare la possibilità a tutto il popolino di godere dello spettacolo. Dopo una lunga attesa arrivò il cellulare con i dieci uomini ammanettati. Furono fatti salire sul palco con la forza. Un fascista in camicia nera lesse i nomi dei condannati, questi poi lasciò il posto ad un arabo che si presentò a torso nudo per mostrare i suoi poderosi muscoli, dopo di che iniziò il macabro spettacolo: il fascista annunciò il primo nome e l’uomo da lui nominato fu spinto al centro del palco e quindi fustigato. Non so dire quante frustate ogni condannato ricevette, tenni gli occhi chiusi e sentivo solo i lamenti ed i battiti delle mani della gente che gridava piena di odio. A questa scena era presente il figlio del rabbino capo di Tripoli che, se non sbaglio, era di Livorno. Non sopportando questa ingiustizia, gridò ai fascisti che erano dei criminali. Venne subito arrestato e non so che fine abbia fatto. Qualche tempo dopo ebbi modo di parlare con uno dei dieci fustigati. Lui mi disse che erano stati tenuti all’oscuro di quello che sarebbe accaduto, tanto è che quando arrivarono sul piazzale, e videro il “palco” e tutta quella gente, temettero l’impiccagione. Tutti loro subirono quel giorno un trauma che si portarono dietro per tutta la vita. Lui, quel giorno, fu talmente preso dalla paura che se la fece addosso e per la puzza fu subito sbrigato e condotto sul cellulare.”
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