giovedì 28 gennaio 2021
Formulario di Orazioni secondo il rito italiano'
mercoledì 27 gennaio 2021
…E TUTTAVIA SE LE PORTE DELLE PREGHIERE FURONO CHIUSE, LE PORTE DELLE LACRIME NON VENNERO CHIUSE *
* Elazar Ben Pedat sulla preghiera di Israele in Berachot.
Kalonimus Shapiro (1889-1943), rabbino di una comunita chassidica a 15 km. da Varsavia, fu rinchiuso nel ghetto di Varsavia e costretto ai lavori forzati. Alcuni discepoli lo seguirono ed egli continuò ad insegnare loro. Scrisse dei testi per infondere consolazione e coraggio alla piccola comunità stremata dalle sofferenze, dalle privazioni e dal terrore. I suoi sermoni furono interrati e ritrovati da un operaio nel dopoguerra e portati in Israele; rappresentano una vera testimonianza e un atto di resistenza spirituale e morale contro l’oppressione nazista. In essi alla consolazione si aggiunge il grido di giustizia.
Egli scriveva: bambini innocenti, anime pure e grandi santi vengono massacrati per l’unica ragione che sono Israele. Le morti crudeli che hanno inventato contro di noi alla fine del 5702 (estate 1942), in base alla mia conoscenza della letteratura talmudica…non sono mai esistite. Come è possibile che, di fronte a tali grida, i muri di separazione tra i figli di Israele e il Padre loro non crollino?
Egli si chiese se davvero il patto del Sinai poteva essere scosso da un’ aqedah – una legatura, una richiesta divina troppo grande, insopportabile, non sostenibile… Egli meditò allora che Esh qodesh - il fuoco sacro che stava avvolgendo Israele non era solo quello vitale del Sinai, ma anche quello mortale che colpì i due figli di Aronne.
Di lui fu scritto: “Il pensiero di Shapiro assume una dimensione straziante e fa salire alle labbra interrogativi abissali…Egli pensa il terrificante presente alla luce delle tragedie anteriori, come la distruzione del Tempio, le crociate o l’espulsione degli ebrei dalla Spagna…E tuttavia egli sa di assistere a qualcosa di completamente nuovo. Il suo fu uno sforzo smisurato per tentare di interpretare tutto ciò senza rinunciare alla certezza dell’alleanza con Dio”.
Nell’inverno del 5702 ( 1942) sulla parashat mishpatim (Esodo 21-24) Rav Kalonimus Shapiro commentò: “ I nostri santi libri dicono che quando un uomo è nell’afflizione Dio lo è ancor di più, se così si può dire… Ma la grande sofferenza del Signore non penetra nel mondo. Se il mondo udisse la voce del Signore che piange esploderebbe. Se una scintilla della sua sofferenza penetrasse in questo mondo consumerebbe l’esistenza dei malvagi…Come può essere che Iddio benedetto sopporti l’offesa fatta alla Torah e le sofferenze di Israele, tormentato e torturato unicamente perché osserva la Torah?”
Rav Kalonimus Kalman Shapiro il 3 novembre 1943 morì nel campo di trawniki. E come è detto: malgrado tutto la collettività di Israele sussisterà.
( Liberamente tratto da “Le terze tavole - la Shoah alla luce del Sinai” di Massimo Giuliani )
domenica 24 gennaio 2021
I giusti di Ama. Viaggio nel paese del silenzio-Un gruppo di ebrei trovò rifugio sulle Orobie. Siamo tornati nel borgo che li ha protetti e che per generazioni ha mantenuto il segreto
La testimone Giuditta Usubelli da giovane con la sorella Maria e la cugina Zita
Ama di Aviatico (Bergamo)
Qui sono passati gli anni, e gli anni, e nessuno ha mai parlato. C’era un segreto tremendo da mantenere, è rimasto chiuso tra queste case di pietra, il paese ha ubbidito nel silenzio come se fosse ancora nel 1943, e c’erano i tedeschi in piazza, con i repubblichini e gli uomini neri della Decima Mas. C’era anche un gruppetto di ebrei, salito fin sulle Orobie bergamasche a cercare salvezza. L’hanno trovata, ma da allora nessuno ha mai più pronunciato la parola ebreo. Fino a un giorno d’estate del 2016, un giovane insegnante era a passeggio nella borgata di Ama, incontra Giuditta Maria Usubelli di anni 88, si chiacchiera e a un certo punto la donna dice «ah, mi piacerebbe tanto sapere che fine ha fatto la mia amica Elsa, la bambina ebrea che viveva nascosta qui. Sarà ancora viva?». Lui scolora. Si chiama Mattia Carrara, conosce le storie vecchie del suo paese, «però questa non l’avevo proprio mai sentita, neanche dai più anziani». Non ci crede. Interroga Giuditta ancora una volta, chiede i particolari, i nomi, e poi telefona, controlla, e va anche a cercare negli archivi del Comune, «dove non c’è traccia di cittadini ebrei sfollati qui durante la guerra, tra i tanti che salirono da Milano e da altre città».
La storia era vera. La sapevano tutti, nel 1943. Il falegname Luigi Fogaccia. Il parroco, don Modesto Gasperini. I bambini, le ragazze, le loro madri. La maestra Orsolina. I proprietari dell’osteria Madunì, e anche quelli della trattoria Tre Corone, che avevano l’unico telefono. I giovani partigiani della zona, che vivevano nascosti sulla montagna. Il tassista del paese, Gino Fogaccia, che forse era quello più di mondo, perché andava a prendere i turisti alla stazione di Bergamo e li portava su, alla villeggiatura, tra Selvino e Aviatico, ai bei tempi in cui c’erano le ville che aprivano per la stagione, si respirava aria buona e si facevano pranzi e cene, poi a ottobre si scendeva in città.
Bene, di questa frazione Ama, che aveva un cento abitanti in tutto, nessuno ha mai detto una parola della famiglia Iachia di La Spezia (8 persone, più uno zio Alberto Carubà), dei Lascar di Torino (4 persone), dei loro 4 cugini Lascar di Genova. Diciassette persone in tutto, e altre tre non ancora identificate (la sarta Gina e il marito, una bambina Giovanna Giua, una ragazza incinta) che affittavano stanze con documenti falsi, comprati chissà dove. Dopo la Liberazione sono tornati a respirare, dopo due anni vissuti nella paura, di essere venduti, scoperti, e quindi deportati.
«Eh, il mio destino era Auschwitz, invece eccomi qui». Sergio Iachia, 81 anni, nel ’43 ne aveva quattro. «Devo ringraziare un paese, se ci siamo salvati. E Aurora, che ci ha trovati». Si battono i piedi sulla terra gelata, davanti alla piccola chiesa dedicata al Santissimo Salvatore, e qui di salvatori ce ne sono stati tanti. C’è sole ma si è sottozero, e Aurora Cantini spiega al gruppetto che si può fare «una passeggiata, e vedere le case dove erano nascoste le famiglie». Aurora è una di quelle persone come ancora se ne trovano nei paesi, appassionata di storia del posto, «di quelle minime che a volte incrociano la grande storia», uno era Nuto Revelli, che girava le Langhe registrando le voci dei vecchi, quello che avevano passato, le tribolazioni di vite povere e oneste, le guerre, le miserie. «Sono autodidatta, scrivo poesie e libri, vorrei che restasse la memoria», poi insegna italiano con altrettanta passione alle elementari di Villa di Serio.
Così, si arriva su una strada in salita, a sinistra c’è una casa che sembra abbandonata, poi il nuovo proprietario la apre, si salgono scale strette e a un certo punto Lascar dice «riconosco le mattonelle, erano queste, bianche e grigie», come si usava nelle case di inizio secolo. E il balconcino dove lui e suo fratello, bambini, si affacciavano su un mondo che non sapevano se ostile — «ero troppo piccolo» — o amichevole, ma di certo erano amici, quegli uomini e quelle donne, silenziosi ma vicini, preoccupati alla morte per il rischio tremendo, consapevoli di star facendo la cosa giusta. Giovanni, figlio di Giuditta: «Nostra madre era molto religiosa, era sicura che sarebbe finita bene. Aveva fede. Ma forse aveva ancora paura, perciò non ne parlava mai. E se ne parlava, io purtroppo non ho mai capito l’importanza dei suoi racconti».
Giuditta era una ragazzina di 14 anni, con le trecce lunghe, una «di quelle che nei paesi le trovi dappertutto, una sveglia». Aveva una nuova amica, questa Elsa Iachia, bionda, nelle foto poi recuperate dell’anteguerra, è una bambina che sorride, ignara di quello che stava per succedere ad altre bambine come lei. «Insieme giocavano, andavano a cicorie nei campi, proprio qui, su questo prato, dove vennero sorprese da un mitragliamento aereo», Aurora racconta, e racconta anche Sergio, che intanto entra in una camera dove ci sono ancora i mobili del tempo, il letto, l’armoir con lo specchio, il comò. «Questa era la stanza dei mei genitori. E qui stavamo io e mio fratello». Non è cambiato niente — è incredibile ma è così — gli anni sono passati e in queste stanze nessuno ha toccato più niente. «Qui stava lo zio Carubà. Poveretto, è poi morto mentre attraversava la linea gotica, a guerra finita. Tornava verso casa in bicicletta con mio padre, venne schiacciato da un camion americano. Mio papà l’ha portato in un cimitero lì vicino, con un carretto».
Ora, sono quasi tutti morti. Di quelli che c’erano, restano i fratelli Guerino e Clara Mosca. Si va sotto la loro casa, che è ancora quella, all’albergo Tre Corone. Si apre una finestra e si affaccia Clara, «quanta paura abbiamo avuto, i tedeschi venivano a cercare mio padre, ci puntavano il mitra in faccia». Clara aveva 8 anni, era piccola e seria. Sapeva cos’era un mitra, e che nell’appartamento a fianco c’erano i Lascar, che durante le incursioni spegnevano tutto e stavano zitti, fermi, pregando.
In quell’albergo arrivava sempre una telefonata di preallarme. Una amica chiamava da Bergamo, e diceva una sola parola: «Arrivano». Era il segnale del rastrellamento del giorno dopo. Il paese si preparava, si immaginano le corse, la paura, le preghiere alla madonna. I giovani caricavano i bambini ebrei in spalla e li portavano a Predale, una borgata di 12 case e 12 stalle, dove si rifugiavano i ragazzi renitenti alla leva, e i partigiani. Cessato l’allarme, si tornava alle case. Finita la guerra, i 17 ebrei sono tornati alle loro città, poveri ma vivi. Che vite hanno fatto, tutti. I salvati e i salvatori, con un terrore che è rimasto lì, fermo, per anni, «perché magari qualcuno vuole vendicarsi, chi lo sa. Meglio stare zitti, ancora un po’». Infine ha parlato la ragazzina Giuditta, quella con le trecce, voleva solo sapere della sua amica Elsa, se era viva, ed era viva. Sono morte prima di ritrovarsi, entrambe hanno avuto famiglie felici, e molti nipoti. Ma ignare e lontane, a volte le cose vanno così.
Libro
Aurora Cantini, Un rifugio vicino al cielo, Silele edizioni, pagg. 168, euro 16
sabato 23 gennaio 2021
שַׁבָּת שָׁלוֹם
Iscrizione dello Shemà Israel sulla Menorah del Knesset a Gerusalemme
«Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. E metterai queste parole che Io (cioè Dio) ti comando oggi, nel tuo cuore, e le insegnerai ai tuoi figli, pronunciandole quando riposi in casa, quando cammini per la strada, quando ti addormenti e quando ti alzi. E le legherai al tuo braccio, e le userai come separatore tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte (delle città).E sarà, se ascolterete i Miei comandamenti, che oggi vi do, di amare il vostro Dio e di onorarlo con tutto i vostro cuore, con tutta la vostra anima e con tutte le vostre forze, (allora) vi darò rugiada per le vostre terre, pioggia primaverile ed estiva, così raccoglierete le vostre granaglie, il vostro vino ed il vostro olio, e darò erba per il tuo bestiame, e mangerete e sarete soddisfatti. Ma guardatevi dall'aprire i vostri cuori a rivolgervi al culto di altri dei, e di adorarli, perché (allora) l’ira di Dio sarà contro di voi, e chiuderà il cielo, e non ci sarà rugiada, e la terra non darà il suo prodotto, e passerete (sarete estinti) rapidamente dalla buona terra che Dio vi ha dato. E (quindi) mettete queste parole nel vostro cuore e nella vostra anima, e siano come parole sulle vostre mani e tra i vostri occhi, e insegnatele ai vostri figli, e pronunciatele quando riposate nelle vostre case, quando camminate per strada, quando vi addormentate e quando vi alzate, e scrivetele sugli stipiti delle vostre case e sulle vostre porte. Così saranno moltiplicati i vostri giorni e di giorni dei vostri figli nella terra che Dio promise ai vostri padri di dare loro, per tanto quanto durano i giorni del cielo sulla terra. E Dio disse a Mosè: dì ai figli di Israele di fare d’ora in poi delle frange agli angoli dei loro vestiti, e vi sia un filo azzurro in ognuna di queste frange. Questi saranno i vostri zizzit, e guardandoli ricorderete i precetti divini, e li osserverete, e non seguirete i (vezzi del) vostro cuore e (le immagini dei) vostri occhi, che vi fanno deviare seguendoli. Così ricorderete e osserverete tutti i precetti, e sarete santi per il vostro Dio. Io sono il Signore Dio vostro, che vi ha fatto uscire dalla terra di Egitto per essere il vostro Dio, Io sono il Signore, vostro Dio.»
mercoledì 13 gennaio 2021
Shoah. I piccoli deportati riemersi dalla storia Riccardo Michelucci mercoledì 13 gennaio 202
domenica 10 gennaio 2021
Parashà di Shemòt Rav Scialom Bahbout
https://www.kolot.it/2021/01/08/il-leader-oratore-o-balbuziente/
Rabbi Nachman di Bratzlav racconta nella raccolta di storie Sippurè ma’asiyot che una volta, dopo una grande tempesta, un bambino e una bambina si perdono in un bosco e rimangono senza cibo. I ragazzi incontrano via via sette mendicanti (ognuno dei quali con un grave difetto), ascoltano il loro pianto e danno loro del cibo, augurando loro di diventare simili a loro. I bambini continuano a vagabondare e a chiedere l’elemosina passando da un paese e da un mercato all’altro.
Attraverso un lungo percorso i due bambini arrivano in una fiera dove incontrano ancora uno alla volta i sette mendicanti che decidono di fare sposare i due bambini che intanto sono diventati adulti. Ognuno dei mendicanti, dopo aver raccontato chi è veramente, offre in regalo alla giovane coppia ciò che avevano prima augurato loro e che li caratterizza meglio.
Il terzo di questi mendicanti è “balbuziente” e augura ai due ragazzi di diventare come lui. Il balbuziente per eccellenza nella storia d’Israele è Mosè che viene scelto per condurre il popolo d’Israele fuori dall’Egitto. Il mendicante balbuziente dice ai due ragazzi che non devono giudicarlo per il suo difetto di balbuzie: in realtà lui dice cose molto profonde e meravigliose che non tutti possono capire.
Nel racconto piuttosto complesso che qui non possiamo ricordare, la figura di Mosè è vista come la persona che porta il messaggio di colui che è chiamato l’uomo di verità e amore. Il suo essere balbuziente non è quindi un suo difetto, ma piuttosto un difetto da parte di chi non è capace di ascoltare e decodificare la sua “balbuzie”: è chiaro qui un riferimento alle parole della Torà che devono essere interpretate.
Mosè viene scelto come leader del popolo ebraico, nonostante non sia un grande oratore, un fatto che ci lascia sbalorditi: l’oratoria è una delle caratteristiche che influenzano l’uomo nella scelta di un leader, ma non può essere questo un criterio decisivo quando si deve scegliere una guida per una nazione.
Mosè quindi viene scelto non per la sua oratoria, ma per quanto ha dimostrato di sapere fare nel suo rapporto con gli altri. La Torà racconta tre episodi nei quali Mosè interviene per difendere i più deboli: l’egiziano che sta colpendo un ebreo; i due ebrei che stanno litigando e l’intervento di Mosè a difesa di chi aveva ragione; le difesa delle figlie di Jetro (si badi bene delle donne!) che i pastori avevano cacciato dal pozzo, dove erano andate per abbeverare il gregge. La scelta di una guida non deve dipendere dalla sua capacità oratoria, ma da quella di reagire alle ingiustizie, anche quando la si esercita senza avere un ruolo riconosciuto pubblicamente.
Il balbuziente ci dice sostanzialmente che le sue parole non sono completamente comprese da chi le ascolta e ci vogliono molte generazioni perché i segreti della Torà vengano alla luce: la medesima idea è espressa in altre parole dai Maestri:
Il balbuziente ci dice sostanzialmente che le sue parole non sono completamente comprese da chi le ascolta e ci vogliono molte generazioni perché i segreti della Torà vengano alla luce. La medesima idea è espressa in altre parole dai Maestri nel Midrash (Kohelet Rabbà: I, 2):
“C’è una cosa che si possa dire “guarda questo è nuovo”? Ciò è stato da sempre …” (Kohelet 1: 10).
E’ scritto. “Mi dette le due tavole di pietra scritte con dito divino e su di esse c’erano tutte le parole … “ (Deuteronomio 9, 10). Ha detto Rabbi Yehoshua Ben Levì: per insegnarti che il testo scritto della Torà, la Mishnà, le Halakhot e le Hagadot e ciò che un allievo anziano insegnerà è stato già dato come Halakhà le-moshè mi-sinai (una norma a Mosè dal Sinai). Da dove (si deduce ciò)? Da quanto è scritto: C’è una cosa che si possa dire “guarda questo è nuovo”? La parte seguente del verso dimostra il contrario: ciò è stato da sempre”
L’altro aspetto che prova come la scelta sia stata quella giusta è dimostrata dal tentativo di Mosè di sottrarsi a questo compito e di non essere alla ricerca di potere: Mosè alla fine accetta obtorto collo un incarico per il quale non si ritiene abbastanza idoneo e poi cercherà di trovare collaboratori per condividere le responsabilità.
Ogni società avrebbe molto da imparare da questa storia su quali sono i criteri per scegliere un leader.
Scialom Bahbout
Rabbi Nachman di Bratzlav: Meziboz 1772 – Uman 1810 (Ucraina)
Fondatore del Hassidismo Bratzlav che pone in evidenza gli ostacoli molteplici che l’uomo incontra per conoscere il Signore e l’importanza della gioia, della semplice fede e il collegamento con un vero Zadik (giusto). Nipote del Baal Shem tov. La sua tomba a Uman è oggetto ogni anno di pellegrinaggio in occasione di Rosh hashanà. Tra i suoi scritti (in parte dovuti all’allievo Rabbi Natan di Nemirov): Sippurè Maasiyot, Likutè halakhot, Likutè Tefillot, likutè moharan, Tikun Klalì.