"Il rapporto tra filosofia e politica in Heidegger è sempre stato controverso. Com’è stato possibile che uno dei maggiori filosofi del Novecento abbia aderito al nazionalsocialismo e, soprattutto, non abbia mai riconsiderato la sua posizione anche dopo la Shoah? Con la pubblicazione poi di una parte dei Quaderni neri – il diario intellettuale nel quale Heidegger esprime alcuni giudizi antisemiti – la questione è divenuta ancora più scottante. Qual è il rapporto tra filosofia e politica, in questo pensatore e, più in generale, nei grandi filosofi? Se lo sono chiesto, partendo da Heidegger, alcuni dei principali studiosi del vecchio e nuovo continente.
PETER TRAWNY è direttore del Martin-Heidegger-Institut alla Bergische Universität di Wuppertal; JESÚS ADRIÁN ESCUDERO è professore alla Universidad Autónoma di Barcellona; DEAN KOMEL è professore all’Università di Lubiana; ALFREDO ROCHA DE LA TORRE è professore alla Universidad San Buenaventura di Bogotá; ADRIANO FABRIS è professore all’Università di Pisa."
L’antisemitismo “metafisico” di Martin Heidegger
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cito "Ha notato giustamente Guido Ceronetti in un articolo sul Corriere della Sera che “se mai ci fu e ci sarà ‘un popolo dell’Essere’ quello è l’ebraico, che ha l’Essere e l’assolutezza dell’essere iscritti in quattro lettere che si ha paura di pronunciare. Negare all’ebreo di essere proprietà dell’essere e depositario del Nome che lo nomina, è negargli, in lingua heideggeriana, l’esserci, il dasein, dunque equivale a escluderlo, a sterminarlo. E’ la mano genocida in guanti di gomma. Per questo si può parlare di un antisemitismo tragico”.
Sarà pure tragico, vien fatto di rispondere, ma Heidegger lo prendeva molto sul serio. Un antisemitismo che non ha connotati razziali, bensì ontologici, e che considera l’ebreo come qualcosa di estraneo all’Occidente e alla sua storia "