lunedì 13 settembre 2021

Gesù, figlio della fede ebraica

 





Gesù, figlio della fede ebraica 

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LA TRASMISSIONE DELLA FEDE AI FIGLI DALLE RADICI EBRAICHE ALLA CHIESA DOMESTICA


https://www.academia.edu/25175706/La_trasmissione_della_fede_ai_figli_Dalle_radici_ebraiche_alla_Chiesa_Domestica_Tesi_di_Baccalaureato


A tutti è noto che Gesù è stato un ebreo: chiunque legga il Vangelo può vedere come

appaiono chiaramente gli elementi dell’ebraicità di Gesù, che è presentato sin dalla nascita

fino all’inizio del suo ministero come un giovane ebreo. Possiamo dire che l’ebraicità di

Gesù è un dato di fatto palese, a partire del Nuovo Testamento. Basta andare a vedere la

relazione che Gesù ha avuto con la legge ebraica, come è stato circonciso all’ottavo giorno (nota 53)

presentato al tempio, formato all’osservanza della legge come qualsiasi altro ebreo vissuto

nel suo tempo.


«Non vi è alcun dubbio, tuttavia, che egli voglia sottomettersi alla legge (cfr. Gal 4,4), che sia

stato circonciso e presentato al tempio, come qualunque altro ebreo del suo tempo (cfr. Lc

2,21.22-24), e che sia stato formato all’osservanza della legge (cfr. Mt 5,17-20) e l’obbedienza

ad essa (cfr. Mt 8,4). Il ritmo della sua vita è scandito, sin dall’infanzia, dai pellegrinaggi in

occasione delle grandi feste (cfr. Lc 2,41-52; Gv 2,13; 7,10; ecc.). Si è rilevata spesso

l’importanza, nel Vangelo di Giovanni, del ciclo delle feste ebraiche (cfr. 2,13; 5,1; 7,2.10.37;

10,22; 12,1; 13,1; 18,28; 19,42; ecc.)»(nota 54)

.

«Ci sono delle pubblicazioni, dei testi anche scolastici, in ebraico, che parlano del Cristo come

di un ebreo perfetto, osservante della legge, tutto ligio alla tradizione e alla fedeltà alla Torà»(nota 55)


Di fatto Gesù, “il Galileo nato ebreo”, si è inserito nella genealogia ebraica, dentro la

storia, attraverso la quale era garantita la linea delle Promesse. Educato all’interno di una

famiglia ebraica, ha imparato a conoscere il “Dio dei Padri”, gli insegnamenti che venivano

tramandati ininterrottamente lungo i secoli di generazione in generazione.


«Quello che in tutti i Vangeli viene chiamato il Dio di Gesù, quello che Gesù chiama suo

padre, è senz’altro il Dio dei Suoi Padri […], non è un altro Dio, è il Dio di Israele. E questo

Dio s’impara a conoscere alla scuola di Abramo e alla scuola dei discendenti di Abramo,

all’interno di una tradizione vivente, cioè all’interno del popolo ebraico»(nota 56)

.

Nella sua infanzia Gesù ha vissuto sottomesso ai suoi genitori, in obbedienza nel

quotidiano della sua vita nascosta e ricevendo la fede da loro mentre faceva una vita come

facevano la maggioranza degli uomini del suo tempo.

«Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della stragrande

maggioranza degli uomini: un'esistenza quotidiana senza apparente grandezza, vita di lavoro

manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge di Dio [cfr. Gal 4,4], vita nella

comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è rivelato che Gesù era sottomesso ai suoi genitori

e che “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52)»(nota 57) 

.

Gesù ha imparato le preghiere del suo popolo secondo quanto gli è stato trasmesso

all’interno della famiglia di Nazaret. La sua iniziazione alla preghiera ripercorre le stesse

tappe comuni ad ogni ebreo. Impara, anzitutto, dalla madre le prime formule – sicuramente

ha recitato lo Shema‘, almeno nei i suoi elementi essenziali –, in seguito, si inserisce

all’interno della sinagoga di Nazaret e, in un secondo momento, nel culto del tempio.

«Il Figlio di Dio diventato Figlio della Vergine ha anche imparato a pregare secondo il suo

cuore d'uomo. Egli apprende le formule di preghiera da sua Madre, che serbava e meditava nel

suo cuore tutte le “grandi cose” fatte dall'Onnipotente [cfr. Lc 1,49; 2,19; 2,51]. Egli prega

nelle parole e nei ritmi della preghiera del suo popolo, nella sinagoga di Nazaret e al Tempio.

Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente ben più segreta, come lascia presagire già all'età

di dodici anni: “Io devo occuparmi delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). Qui comincia a

rivelarsi la novità della preghiera nella pienezza dei tempi: la preghiera filiale, che il Padre

aspettava dai suoi figli, viene finalmente vissuta dallo stesso Figlio unigenito nella sua

umanità, con e per gli uomini»(nota. 58)

«Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme il più

profondo rispetto. Vi è stato presentato da Giuseppe e Maria quaranta giorni dopo la nascita

[Lc 2,22-39]. All'età di dodici anni decide di rimanere nel Tempio, per ricordare ai suoi genitori

che egli deve occuparsi delle cose del Padre suo [cfr. Lc 2,46-49]. Vi è salito ogni anno, almeno

per la Pasqua, durante la sua vita nascosta [cfr. Lc 2,41]; lo stesso suo ministero pubblico è

stato ritmato dai suoi pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste ebraiche [cfr. Gv 2,13-

14; 5,1.14; 7,1.10.14; 8,2; 22-23]»(nota 59)

.

Una volta cresciuto, Gesù insegna nelle sinagoghe (cfr. Mt 4,23; 9,35; Lc 4,15-18; Gv

18,20; ecc.) e frequenta il tempio (cfr. Gv 18,20; ecc.), come facevano i suoi discepoli anche

dopo la risurrezione. Nella stessa maniera, si inserisce all’interno della liturgia domestica

della pasqua, dove istituisce l’eucaristia (nota 60). Mi sembra utile riportare il commento che M.

Remaud fa all’affermazione «Gesù è ebreo e lo è per sempre»(nota 61) che troviamo nei Sussidi:

«Gesù è ebreo e lo è per sempre. Fra tutte le affermazioni contenute nel testo, questa è forse

la più pregna di conseguenze... E una tale affermazione infatti a illuminare il fondamento della

relazione unica e originale che unisce la Chiesa al popolo di Israele... Per questo, il testo

afferma che Gesù è ebreo per sempre. Il che significa, in primo luogo, che Gesù non è un

convertito. Non ha mai abiurato al proprio giudaismo, mai negato in alcun modo né le proprie

origini né il proprio passato. Ma significa pure che Gesù risorto rimane ebreo. Lungi dal

cancellare ciò che è stato, la risurrezione lo glorifica e lo rende eterno... Così la Chiesa si trova

legata, per natura e per l’eternità, all’ebreo Gesù e, per mezzo suo, a tutto il suo popolo. Da un 

ebreo, in cui vede realizzar il progetto di Dio, riceve in permanenza la sua stessa vita. E dunque

nella medesima persona del Risorto che la Chiesa incontra il giudaismo» (nota 62) 

Gesù è quindi pienamente un ebreo palestinese del I secolo, nato “dalla stirpe di

Davide secondo la carne” (Rm 1,3). Egli è veramente “nato da donna” (Gal 4,4); egli è

veramente “nato sotto la legge” (Gal 4,4). Queste affermazioni di Paolo ci mostrano come,

il fatto che Gesù sia nato all’interno del popolo ebraico, non può rimanere in secondo piano

anzi, è essenziale per la fede cristiana essendo l’unico modo perché Gesù entrasse nella

Storia.

«Paolo non dice solo che è nato da donna, e che cioè ha un corpo come tutti gli altri uomini ed

è stato partorito come qualsiasi altro uomo da una donna. Paolo non limita l’umanità di Gesù

al fatto fisico, ma la estende anche a quello etnico e culturale: Gesù è nato dalla stirpe di

Davide e perciò fa parte di un popolo specifico e di una cultura specifica, quella ebraica. Ma

Paolo estende l’umanità di Gesù anche al fatto religioso: Gesù è “nato sotto la Legge”. Gesù

ha condiviso la religione ebraica del suo tempo vivendo in essa, sotto la Legge. Gesù non si è

ribellato alla Legge, ma l’ha adempiuta» (nota 63)

.

Oggi c’è una grande sensibilità e attenzione per cogliere questo “radicamento” e questa

“ebraicità” di Gesù64, anche in un livello più tecnico, nella esegesi, nella storia della

interpretazione del Nuovo Testamento. Infatti, sono stati realizzati diversi studi che tentano

di sottolineare l’ebraicità di Gesù cercando la sua posizione all’interno del giudaismo del

suo tempo.(nota 64) 

«Samuel Sandmel […] ammetteva che Gesù poteva essere visto come un maestro ebraico, un

ribelle all’autorità di Roma, un profeta, un pensatore apocalittico e un riformatore sociale […]

David Daube vide Gesù come totalmente ebreo ed affermò che il vero punto di conflitto tra la

chiesa e la Sinagoga fu l’identità messianica di Gesù, non la sua ebraicità. L’ebraicità di Gesù

è oggi particolarmente sottolineata da David Flusser il quale asserisce che Gesù e i suoi

discepoli furono più vicini al giudaismo farisaico che a quello qumramico […] Geza Vermes

ritiene che Gesù fu un hasid della Galilea […] sulla base delle testimonianze offerte dai primi

tre vangeli, Vermes ritiene che Gesù fosse un maestro carismatico, guaritore ed esorcista»6(nota 65)

Notiamo inoltre come Gesù usi spesso una tipica forma di ragionamento rabbinico

(cfr. Mt 5,21-22.27-28.31-48; Lc 6,27-35) mostrando come condivida alcune dottrine

farisaiche di quel tempo.

«Gesù condivide con la maggioranza degli ebrei palestinesi di quel tempo alcune dottrine

farisaiche: la risurrezione dei corpi; le forme di pietà: elemosina, preghiera, digiuno (cfr. Mt

6,1-18), e l’abitudine liturgica di rivolgersi a Dio come Padre; la priorità del comandamento

dell’amore di Dio e del prossimo (cfr. Mc 12,28-34). Lo stesso si può dire di Paolo (cfr. per

es., At 23,8), il quale ha sempre considerato come un titolo d’onore la sua appartenenza al

gruppo farisaico (cfr. At 23,6; 26,5; Fil 3,5)»(nota 66) 

L’incarnazione di Gesù all’interno del popolo ebraico è, come abbiamo detto prima,

fondamentale per il compimento della Storia della Salvezza: Egli si doveva necessariamente

incarnare in questa cultura per redimere gli uomini.

«L’ebraicità di Gesù […] sottolinea anche “il significato stesso della storia della salvezza”. Se

Gesù non avesse condiviso totalmente l’umanità degli uomini che era stato mandato a salvare

non si sarebbe potuta verificare la salvezza. Gesù “è nato sotto la Legge per riscattare coloro

che erano sotto la Legge”. E ciò che dice anche la Lettera agli Ebrei: Gesù doveva essere

“partecipe” della carne e del sangue degli uomini per poter “ridurre all’impotenza mediante la

morte colui che della morte ha il potere” (Eb 2,14); “egli infatti non si prende cura degli angeli, 

ma della stirpe di Abramo si prende cura» (2,16); egli “doveva rendersi in tutto simile ai

fratelli…, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (2,17). Anche per la Lettera agli Ebrei

Gesù, per redimere gli ebrei deve essere un vero uomo ebreo. Ecco perché l’ebraicità di Gesù

sottolinea sia la realtà dell’incarnazione che il significato della storia della salvezza»(nota 67) 

.



 NOTE 


53 «La circoncisione di Gesù, otto giorni dopo la nascita, [cfr. Lc 2,21] è segno del suo inserimento nella discendenza di Abramo, nel popolo dell'Alleanza, della sua sottomissione alla Legge, [cfr. Gal 4,4] della sua abilitazione al culto d'Israele al quale parteciperà durante tutta la vita. Questo segno è prefigurazione della “circoncisione di Cristo” che è il Battesimo [cfr. Col 2,11-13]» (CCC 527, p. 157). 

54Sussidi, III,2: EV 9/1637. 

55 G. SORANI , Le radici ebraiche del cristianesimo, “Amicizia Ebraico-Cristiana”, 1990 (XXV), n. 1-2, p. 6. Cfr. anche CCC 577, p. 172.


56 G. SORANI , Le radici ebraiche del cristianesimo, “Amicizia Ebraico-Cristiana”, 1990 (XXV), n. 1-2, p. 6. 

57 CCC 531, p. 158.


58 CCC, 2599, p. 683. 

59 Ibidem, 583, p. 174. 

60 Cfr. Sussidi, III,2: EV 9/1638. 

61 Il testo inglese legge invece: “Jesus was and always remained a Jew” (INTERNATIONAL CATHOLIC-JEWISH LIASON COMMITTEE, Fifteen Years of Dialoghe, 1970-1985. Selected Papers, L.E.V. Pontificia Università Laterananse, Città del Vaticano 1988). Anche il testo francese legge: “Jésus était juif et l’est toujours resté” (SIDIC, Service International de Documentation Judéo-Chrétienne, edizione francese e inglese, 1986 (XIX), n. 2, p. 15). Tedesco: “und ist es immer geblieben” (R. RENDTORFF-H. H. HENRIX, Die Kirken und das Judentum. Dokumente von 1945 bis 1985, Bonifatius-Kaiser Verlag, Paderborn-München 19892 )


62 M. REMAUD, Commento ai Sussidi, in SIDIC (a cura di), “Parlare correttamente degli Ebrei e dell’Ebraismo. Testo e commento dei Sussidi della Santa Sede del 1985 indirizzati ai predicatori e catechisti”, SIDIC, Roma 1986, pp. 16-22. 

63 M. PESCE, Il cristianesimo e la sua radice ebraica. Con una raccolta di testi sul dialogo ebraico-cristiano, EDB, Bologna 1994, p. 94.

 64 «R. Bultmann, per esempio, nel suo Cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche, ha inserito la figura di Gesù non nel cristianesimo, ma nel giudaismo» (G. JOSSA, Giudei o cristiani? I seguaci di Gesù in cerca di una propria identità, Paideia, Brescia 2004, p. 33).


5 H. G. PERELMUTER, Gesù l’ebreo: un punto di vista ebraico, “Amicizia Ebraico-Cristiana”, 1994 (XXIX),

n. 1-2, p. 32.

66 Sussidi, III,6: EV 9/1641.

67 M. PESCE, Il cristianesimo e la sua radice ebraica…, op. cit., pp. 94-95